Protesi al seno, dopo la prima morte in Italia ecco i segnali di allarme da non sottovalutare

6 Mag 2019 14:26 - di Redazione

La prima morte registrata in Italia per una rara forma di tumore legata all’impianto di protesi al seno, il linfoma anaplastico a grandi cellule (Alcl), “è una notizia tragica ma serve evitare allarmismi: è un’evenienza molto rara che, se affrontata per tempo e nel modo corretto, porta alla guarigione”. La Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (Sicpre) – dopo la notizia del primo decesso in Italia al Policlinico Umberto I di Roma all’inizio dell’anno – ribadisce quindi il suo invito alle donne, di “evitare il panico e adottare, invece, gli atteggiamenti più produttivi: sottoporsi ai regolari controlli suggeriti dal chirurgo e non trascurare eventuali aumenti del volume della mammella. Anche perché, con il conforto dei numeri e alla luce della posizione assunta dall’agenzia americana (Fda) e da tutte le principali società scientifiche internazionali, la situazione è sotto controllo”.

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“Ovviamente la notizia di un decesso scatena reazioni emotive – osserva Daniele Fasano, presidente della Sicpre – Riteniamo però che questa notizia, a parte il dispiacere che suscita, non modifichi sostanzialmente il quadro del linfoma anaplastico a grandi cellule come evenienza estremamente rara. In base a quanto raccolto dal database del ministero della Salute italiano, infatti, negli ultimi 8 anni sono stati registrati 41 casi di Alcl su 411.000 protesi impiantate. Questo vuol dire che il rischio di ammalarsi di Alcl è dello 0,001%. Ancora, se riconosciuta per tempo e approcciata nel modo corretto, cioè con la rimozione della protesi e della capsula fibrosa che la avvolge, la malattia viene risolta in sala operatoria, senza richiedere ulteriori cure. Per queste ragioni ci sentiamo di dire un ‘no’ motivato e scientifico all’allarmismo e alle posizioni sensazionalistiche”.

Anche “la Fda americana e tutti i ministeri della Salute europei, ad eccezione della Francia – aggiunge Fasano – hanno come noi sposato le linee guida indicate dalla task force europea dedicata allo studio dell’Alcl: impegnarsi a informare le donne nel modo più capillare e formare i chirurghi, in modo da rendere la diagnosi più precoce e più certa e la cura più appropriata possibile”. Da sempre dalla parte della donna – sottolinea una nota – e impegnata nella tutela della sua salute, dal 4 aprile la Sicpre si è messa a disposizione del Consiglio superiore di sanità per fornire i dati e il supporto in materia di protesi. “Ricordiamo che l’Alcl insorge di solito diversi anni dopo l’impianto del dispositivo, in media dopo 7 anni”, precisa il presidente della società scientifica. “Ribadiamo – conclude – che il segnale da non trascurare è un rigonfiamento della mammella; le donne che lo riscontrano devono rivolgersi al loro chirurgo. E tutte le donne portartici di protesi mammarie devono eseguire i controlli periodici”.