Perquisito Palamara, indagato il pm Fava e il togato Spina. Terremoto alla Procura di Roma

30 Mag 2019 16:22 - di Roberto Frulli
Il pm romano Luca Palamara

Gli sviluppi dell’inchiesta della Procura di Perugia sui colleghi romani travolgono altri magistrati e scuotono fin dalle fondamenta il palazzo di Giustizia capitolino al centro, in questi giorni, di una specie di guerra di potere sotterranea per gli avvicendamenti, che il Csm sta valutando, alle poltrone di vertice di piazzale Clodio dopo il freschissimo pensionamento dell’ex-procuratore capo Giuseppe Pignatone.

La guardia di Finanza di Perugia, delegata dai magistrati eugubini, si è presentata stamattina, esibendo un decreto di perquisizione, a casa e nell’ufficio di piazzale Clodio del pm romano Luca Palamara, indagato da ieri per corruzione, e nel suo ufficio di piazzale Clodio.
A Palamara, ex-presidente dell’Anm ed esponente della corrente centrista “Unità per la Costituzione”, in corsa per un posto da procuratore aggiunto alla Procura di Roma, i colleghi di Perugia contestano la sua amicizia, sfociata, secondo l’accusa, in una serie di scambi di favori sul filo della corruzione, con l’imprenditore Fabrizio Centofanti.
Contestualmente i magistrati di Perugia, territorialmente competenti per le indagini sui colleghi romani, hanno indagato, con l’accusa di  rivelazione di segreto e favoreggiamento, anche Luigi Spina, consigliere togato del Csm in rappresentanza della corrente di Unicost, la stessa a cui appartiene Palamara.
Indagato, infine, anch’esso con l’accusa di  rivelazione di segreto e favoreggiamento, il pm romano Stefano Rocco Fava, cioè il magistrato che presentò un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura contro l’ex-procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo per presunte irregolarità  nella gestione delle inchieste sull’avvocato Piero Amara.
La vicenda è intricatissima è restituisce un quadro coerente con la guerra di potere che si è scatenata alla Procura di Roma per l’avvicendamento ai vertici.

Fava era il titolare del fascicolo sul caso Amara ma la delega di indagine gli venne ritirata dall’ex-capo Pignatone dopo che lui aveva scritto al Csm per segnalare il presunto conflitto di interessi dello stesso Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo in merito ad alcune importanti inchieste giudiziarie a causa dell’attività professionale dei loro fratelli.
Per tutta risposta, denunciò Fava, gli venne tolto il fascicolo sul caso Amara e sulle presunte sentenze pilotate nell’ambito della giustizia amministrativa.

Dalla Procura di Perugia, ora, risultano indagati anche l’imprenditore Fabrizio Centofanti e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore.
I tre, secondo i magistrati umbri, sono accusati di aver «corrisposto varie e reiterate utilità a Palamara, all’epoca consigliere del Csm, consistenti in viaggi e vacanze (soggiorni presso svariati alberghi anche all’estero) a suo beneficio», come si legge nell’avviso di garanzia.
Da questo punto di vista, secondo i pm perugini, l’imprenditore Centofanti sarebbe stato l’anello di congiunzione fra Palamara e Amara.

Secondo l’indagine della Procura di Perugia, l’imprenditore Centofanti e gli avvocati Amara e Calafiore, avrebbero «corrisposto» le «utilità» «anche a beneficio di familiari e conoscenti» di Palamara «e anche un anello non meglio individuato del valore di 2mila euro» per il compleanno «dell’amica (di Palamara, ndr) Adele Attisani, essendo Centofanti in rapporti di stretta ed illecita collaborazione e correità con Amara e Calafiore».

«La Attisani – si legge nel provvedimento dei magistrati di Perugia – veniva prelevata da un autista di Centofanti ed infine da questi raggiunta (a bordo del veicolo monitorato in viaggio verso l’aeroporto di Fiumicino). Nel corso del tragitto emerge il chiaro riferimento della Attisani ad un gioiello che deve essere acquistato (“io non lo so se voglio il solitario …. io volevo una cosa più … sottile”)».

I due, proseguono i pm nel decreto notificato agli indagati, «fanno riferimento esplicito a una gioielleria che si trova a Misterbianco, e la Attisani invita l’amico a passarci (una volta evidentemente atterrati a Catania)».

Sul punto, prosegue il decreto, la polizia giudiziaria verificava che dalle intercettazioni «emergeva un messaggio inerente un pagamento del 15.9.2017 POS di euro 2. 000 in favore» di una gioielleria di Misterbianco» e che l’utenza «monitorata in uso a Centofanti alle ore 17 .15 si trovava in una zona ubicata nei presso della predetta gioielleria».

Inoltre, ancora nelle intercettazioni, rilevano i pm, «sempre Attisani e Centofanti parlano della organizzazione della festa di compleanno della donna per il 6.10.2017 (il compleanno era il giorno 4.10.2017), dato dal quale può ipotizzarsi che l’acquisto del gioiello a Misterbianco per conto di “Lui” (che qui si assume essere Palamara Luca) sia avvenuto in vista del compleanno della donna».

Secondo la Procura di Perugia, l’attività corruttiva era messa in atto «per danneggiare Marco Bisognisostituto procuratore di Siracusa (in precedenza già oggetto di reiterati esposti depositati presso la Procura generale di Catania a firma da Amara e Calafiore, il primo indagato da Bisogni, il secondo, suo difensore) nell’ambito del procedimento disciplinare nel quale Palamara faceva parte della sezione che con ordinanza n.94/2017 rigettava la richiesta di archiviazione proposta dalla Procura generale della Corte di Cassazione, avanzando richiesta di incolpazione coatta a carico di Bisogni, che di seguito veniva assolto dalla Commissione in diversa composizione il 29 gennaio del 2018».

Inoltre, secondo la Procura di Perugia, «per fare in modo che Palamara mettesse a disposizione, a fronte delle utilità, la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati Amara e Calafiore».

Al pm Fava i magistrati eugubini contestano, in concorso con Palamara, di aver violato «i doveri inerenti la sua funzione e abusando della sua qualità, comunicando con Palamara e rispondendo alle sue plurime e incalzanti sollecitazioni, gli rivelava come gli inquirenti fossero giunti a lui, specificandogli che gli accertamenti erano partiti “dalle carte di credito” dell’imprenditore Fabrizio Centofanti e si erano estesi alle verifiche dei pernottamenti negli alberghi, rivelandogli altresì alcuni retroscena delle indagini».

Il favoreggiamento è contestato a Fava perché «nella medesima conversazione» con Palamara «consegnandogli alcuni atti e documenti allo stato non identificati, ed alcuni atti già allegati all’esposto inoltrato al Csm, asseritamente comprovanti i comportamenti non consoni del Procuratore di Roma e di un procuratore aggiunto (Paolo Ielo, ndr), anche in relazione alla conduzione e gestione del fascicolo 44630/16, dal quale erano scaturite le investigazioni a carico dello stesso Palamara» e «in relazione a profili di mancata astensione dei predetti procuratori (circostanze allo Stato smentite dalla documentazione sin qui acquisita presso la Procura della Repubblica di Roma)» aiutava «Palamara ad eludere le investigazioni a suo carico».

In tutto questo caos spicca l’aplomb british dell’Associazione Nazionale Magistrati, il sindacato delle toghe che, per nulla scosso dalla guerra di potere e dalle accuse di corruzione che stanno volando e di presunto conflitto di interessi denunciato da Fava, esprime «piena fiducia nell’autorità giudiziaria di Perugia» sostenendo che la vicenda «conferma la capacità della magistratura italiana di esercitare il controllo di legalità anche quando riguarda appartenenti all’ordine giudiziario».
Ma la preoccupazione maggiore del sindacato delle toghe sembra essere quella che la procedura di nomina dei nuovi vertici della Procura di Roma non si arresti: «il percorso decisionale che porterà il Csm alla nomina di ogni dirigente degli uffici giudiziari avvenga esclusivamente nell’ambito del confronto dialettico tra i componenti togati e laici, che in base alle norme costituzionali lo compongono, e non sia in alcun modo influenzato da alcun altro fattore, esterno o interno alla magistratura».

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