«Pamela non ebbe scampo: Oseghale la segregò in casa»: la ricostruzione del pm

8 Mag 2019 12:48 - di Viola Longo

Fatta a pezzi, dissanguata e privata di parti del corpo per nascondere le prove del delitto. Ancora una volta il racconto di quello che accadde a Pamela Mastropietro trasforma l’aula della Corte d’Assise di Macerata in un teatro dell’horror. Stavolta il drammatico compito di ripercorre l’omicidio e il vilipendio del cadavere della ragazzina romana è toccato al sostituto procuratore Stefania Ciccioli, impegnata nella requisitoria finale del processo a carico del nigeriano Innocent Oseghale, accusato di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi Pamela. Che, ha ricordato anche il procuratore, non è morta di overdose, ma è stata uccisa con due coltellate al fegato.

«Il cadavere è stato completamente dissanguato»

Tutto il macabro, bestiale rituale seguito alla morte di Pamela, per il procutore, è stato finalizzato a occultare le tracce dell’omicidio. Ciccioli ne ha messo in evidenza i passaggi che lo dimostrano: il fatto che i resti siano stati lavati con la candeggina, che parti del corpo siano state «soppresse», che non si sia «trovato il tessuto cutaneo, né il tessuto muscolare né il diaframma». «E non è un caso – ha osservato – che queste parti anatomiche non siano state fatte trovare e siano state soppresse», perché avrebbero consentito di ricostruire maggiormente l’entità delle ferite. «Non è neppure un caso che manca tutto il sangue, il cadavere è stato completamente dissanguato al chiaro scopo di nascondere la responsabilità di quanto commesso», ha sottolineato ancora il sostituto procuratore, aggiungendo che il lavaggio con la candeggina e tutta «l’attività manipolatoria sul cadavere è avvenuta allo scopo di nascondere tracce del delitto commesso» e «con perizia».

Pamela «segregata in casa» e violentata

E di delitto si è trattato, ha ribadito ancora il procuratore, ricostruendo le fasi dell’omicidio e anche della violenza sessuale che l’aveva preceduto. Circostanze sulle quali parlano le perizie medico-legali e le stesse mutilazioni inferte alla giovane una volta morta. Pamela prima di essere uccisa, mentre era sotto l’effetto della droga, «è stata costretta a subire violenza sessuale e l’autore di questa violenza è stato Innocent Oseghale», ha detto Ciccioli, ricordando «l’asportazione dei genitali», il cui scopo non poteva che essere quello di nascondere lo stupro, e che, nonostante il lavaggio con la candeggina, sul corpo della ragazza sono state comunque trovare tracce del dna del nigeriano. Ma «a Oseghale non bastava aver avuto rapporti sessuali con la vittima, lo ha chiesto anche ad altri», ha proseguito la pubblica accusa, citando le intercettazioni in cui Awelima Lucky raccontava la telefonata in cui Oseghale gli proponeva di avere rapporti con Pamela. Ma c’è anche altro: «Pamela voleva fuggire, doveva tornare a casa, ma non gli è stato permesso di uscire dalla casa. Oseghale quando è uscito a portare la droga, ha chiuso l’appartamento: Pamela era segregata in casa, non poteva fuggire e non aveva il cellulare».

Uccisa con due coltellate al fegato

Dunque, lo stupro, l’omicidio, infine quel tentativo di nascondere le tracce che, ha ricostruito Ciccioli, inchioda l’imputato tanto quanto le perizie. Anticipate nei giorni scorsi, le perizie, tanto quella di parte civile, quanto quella della Procura, non hanno lasciato dubbi: Pamela «non è morta di overdose, è stata uccisa da Oseghale con due coltellate». Ciccioli ha ripercorso nel dettaglio le conclusioni del medico legale Mariano Cingolani e del tossicologo Rino Froldi, chiarendo che i risultati «non sono coerenti con un’overdose». Le coltellate al fegato, quindi, sono state inferte quando Pamela era viva: «Ci sono evidenti caratteri macroscopici di vitalità delle lesioni, che hanno osservato tutti coloro che hanno avuto modo di vedere il cadavere», ma, ha poi proseguito il sostituto procuratore, «l’infiltrazione emorragica è presente anche a livello microscopico, sui vetrini» osservati. Infine «per scrupolo maggiore» il consulente medico legale ha svolto ulteriori accertamenti utilizzando «tre marcatori». «E nonostante il modo in cui il cadavere di Pamela è stato deturpato e oltraggiato, i marcatori hanno confermato la presenza di segni vitali delle lesioni», ha chiarito Ciccioli, ribadendo gli «univoci risultati rispetto a tutti i test eseguiti: macroscopici, microscopici e istochimici».

La Procura chiede l’archiviazione per Desmond

La Procura ha invece chiesto l’archiviazione per Lucky Desmond. «In assenza di un univoco riscontro e mancando significative prove sul fatto che Desmond abbia cancellato le tracce non si può affermare con ragionevole certezza che Desmond fosse stato in casa di Oseghale per questo abbiamo chiesto l’archiviazione», ha chiarito il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio nella sua requisitoria. Della presenza o meno di Desmond nella casa di via Spalato, dove Pamela fu uccisa, si è parlato nel corso delle scorse udienze. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, testimone dell’accusa che ha raccontato di aver raccolto le confidenze di Oseghale in carcere, riferì che l’imputato gli aveva detto di essere andato nella sua abitazione insieme alla ragazza e a Desmond. Quest’ultimo, è stato ancora il racconto del collaboratore, si avvicinò per approcciarla, Pamela lo respinse e l’amico le diede uno schiaffo, facendola così cadere a terra per poi andarsene. Lo stesso imputato ha dato diverse versioni, inizialmente collocando Desmond nella casa e in seguito scagionandolo. Secondo il procuratore «certo è» che la presenza in casa di Lucky Desmond non è stata rilevata dalle indagini del Ris e non vi sono elementi di assoluta certezza neppure sulla base dell’analisi delle celle telefoniche. Inoltre, «la lesione alla testa» compatibile con una caduta comunque «non può ritenersi causa di morte», ha osservato il procuratore.

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