Mark Caltagirone è solo uno di tanti casi. A chi giova diffondere le fake news?
La parola d’ordine di questi tempi è fake news; notizia falsa, farlocca, ingannevole e spesso incontrollabile. È detestabile il suo abuso, soprattutto da parte di chi si colloca da una precisa parte politica. Chi scrive, magari a torto, ha maturato il convincimento che non sia la combinazione di quelle parole a dover destare preoccupazione, ma il concetto che le accompagna, o meglio che le precede. In un mondo in cui tutto viaggia alla velocità della fibra, in cui l’adesso è già il passato, anche le notizie si susseguono vorticosamente. Leggere il giornale, magari per il tempo necessario a sorseggiare quel caffè, che lentamente esce borbottando dalla caffettiera, è oramai un lusso, che forse possono godere pochi pensionati; coloro i quali ancora hanno la fortuna di trovare una copia del quotidiano, a cui sono abbonati, sullo zerbino di casa.
Le fake news proliferano nei talk show
Chi lavora e vuole mantenersi informato – se può – legge un quotidiano, magari (i più fortunati) un paio, preferibilmente, oppure ascolta i radiogiornali, strumento ancora godibile, oppure, la sera i telegiornali e – se regge – i cosiddetti talk show. E’ proprio lì, nelle trasmissioni di intrattenimento, più o meno generaliste, che proliferano le fake news, quelle che all’indomani si trovano sui quotidiani, come verosimili e, secondo un moto circolare, ritornano, masticate e digerite, nuovamente in tv. Le fonti sorgono e scompaiono alla velocità della connessione internet ed anche i giornalisti si trovano spiazzati, come i loro lettori.
Quei “promessi sposi” in versione digitalizzata
Una vicenda portata all’estremo è oramai nota a tutti – anche a chi si sarebbe voluto estraniare: la versione digitalizzata dei promessi sposi. Una parodia nella quale i protagonisti (la malcapitata Pamela Prati, il sedicente futuro marito, Mark Caltagirone, ai quali si sono accostate, sovrapponendosi, le “agenti provocatrici” della prima) hanno recitato, volenti o nolenti, un copione. Non si capisce se scritto direttamente da loro oppure, peggio, eterodiretto. L’indagine, su chi abbia inventato cosa, non dev’essere affrontata da un Tribunale, ove spesso vengono portate vicende inutili – sottraendo tempo e risorse a questioni ben più sere – ma dal punto di vista sociologico, o peggio psicologico.
Il pettegolezzo allieta la vita monotona
È notorio che le vicende private dei personaggi dello spettacolo dèstino sempre la morbosa curiosità del pubblico, spinto a ritenere che il pettegolezzo possa allietare la propria vita, spesso monotona. Chi si occupa di questi argomenti ci sguazza, consapevole che l’idealizzazione, l’emulazione o semplicemente la curiosità alimenti il fenomeno mediatico. Sulla falsa riga delle tanto frequenti, quanto inconcepibili, truffe amorose, è stata accostata questa triste vicenda, magari anche con un alto intento didascalico; tutti gli interpreti (anche quelli immaginari), però, ne escono male e con loro gli spettatori; peggio, però, i registi, che pur sapendo dell’infondatezza della notizia, hanno “menato il torrone”, fino allo sfinimento. E allora ritorna attuale il quesito dell’esordio. A chi giova, realmente, il proliferare delle fake news? Forse a coloro che hanno la necessità di distogliere l’attenzione su altri fatti, magari più gravi o più importanti, o a chi magari, commettendo un misfatto, genera ad arte il sospetto che la notizia (vera) sia falsa, una fake news. C’è da augurarsi che il caso del matrimonio, o del nubendo, immaginario, non rappresenti un nuovo modello di informazione.