La pensata di Zingaretti: “attaccamose” a Macron, fronte in chiave antisovranista
Propone un fronte europeo con Macron in chiave anche antisovranista «per migliorare la vita dei cittadini», pronostica che la deriva dei Cinquestelle non si fermerà qui poiché, dice, non vede «un gruppo dirigente all’altezza», ammette che nel Pd c’è «un gruppo dirigente nazionale appesantito dal rischio di un ritorno di un regime correntizio, ci sono realtà territoriali del tutto autonome, feudalizzate, che non rispondono a nessun input della politica»: di fronte alla platea della direzione del Pd, Nicola Zingaretti tenta di tracciare una rotta che dovrebbe, nelle sue intenzioni, portare il partito che fu di Renzi fuori dalla palude in cui s’è impantanato.
Obiettivo: «Un nuovo partito e una nuova alleanza – promette Zingaretti alla Direzione Pd vagheggiando una «nuova forma-partito da costruire» – «Il Pd deve cambiare, ricostruirsi al suo interno, ecco perché noi non dobbiamo perdere nemmeno un minuto. Dopo i ballottaggi dobbiamo fare una Direzione strategica per far partire una rivoluzione». Direzione strategica, dice proprio così Zingaretti, inciampando su quella frase che ricorda, troppo da vicino, il linguaggio brigatista. Anche lì si parlava di Rivoluzione. Una rivoluzione fallita lasciandosi dietro morti e sogni infranti.
Sulla parola rivoluzione, Zingaretti ci torna su poco dopo. «Il tema del partito va affrontato – esorta Zingaretti nella sua relazione alla direzione – all’indomani dei ballottaggi, serve una vera e propria rivoluzione o non ce la facciamo. Non possiamo – dice il neo-segretario Pd – fare come Salvini, affidarci al protagonismo di un leader. Io a quel modello non credo, non ho scelto questa strada e non la praticherò mai. Il comando assoluto di una sola persona è la premessa di solitudine e anche di sconfitta». Che stia pensando a Renzi?
«Da subito nuova segreteria, forum e incarichi di lavoro – promette Zingaretti – Dovremo discutere di come organizzarci nel Mezzogiorno, nei piccoli centri. Il voto delle europee è una tappa, un primo passo che ci consente di affrontare le sfide che abbiamo davanti».
«Serve una democrazia interna più vera, che non si limiti agli scontri con i tweet – ammonisce, di nuovo, il segretario – Non abbiamo bisogno di correnti che si armano all’interno e ci disarmano all’esterno».
Ma «non si tratta di rivolgere le nostre forze solo in una direzione»: «Di fronte ai pericoli della destra il campo democratico deve essere abitato da altre forze oltre al Pd. Ma abbiamo il compito di concentrarci soprattutto sul Pd, coltivare al massimo la pianticella che abbiamo piantato – esorta Zingaretti – Io non abbandono affatto l’idea di una vocazione maggioritaria» ma che non vuol dire «occupare tutti gli spazi» o «arroganza sprezzante» quanto piuttosto «l’ambizione di diventare un luogo sempre più plurale». Così, spiega, «possiamo diventare il pilastro credibile per attrarre nuovi soggetti politici».
«Non ci basterà – avverte il segretario Pd sfoderando un raro realismo – per fermare la destra, gridare al fascismo e al pericolo», certo «le pulsioni di destra ci sono, sono pericolose, ma non dobbiamo fare confusione. Il fascismo è un’altra cosa, evocarlo significa entrare in una logica dello scontro di piazza che porta solo acqua al mulino di Salvini».
Quanto alla Lega e al governo verde-giallo, «credo che avremo abbastanza presto la crisi – preconizza Zingaretti annunciando «una costituente delle idee», un «grande dibattito sull’Italia per preparare a ottobre, novembre un grandissimo evento pubblico, anche in più giorni, di proposta all’Italia» – perché la Lega vuole capitalizzare «il consenso avuto alle elezioni».
Giachetti chiede formalmente, al termine della relazione di Zingaretti, di rinviare il dibatto alla Direzione Pd. Br, Base riformista, l’area interna al Pd che fa capo a Luca Lotti e Lorenzi Guerini, appoggia la richiesta. E il segretario Pd accoglie la proposta. Si chiude così la tanto attesa direzione Pd. Molte chiacchiere, come al solito. E tanto fumo.