Elezioni europee, in attesa del grande Big Bang: ecco cosa può cambiare
Parliamoci chiaro. Queste elezioni europee non sono solo elezioni per eleggere i Deputati al Parlamento Europeo. Sicuramente influenzeranno la direzione della Commissione Europea e le sue ricadute sugli Stati Nazionali dell’UE per i prossimi 5 anni, determinando o meno una svolta nelle sue politiche finanziarie, sociali e sull’emigrazione. Un fatto incontrovertibile. Ma in Italia avranno un peso determinante sugli equilibri politici del nostro Paese a cominciare dalla sopravvivenza o meno dell’attuale maggioranza giallo-verde e della vita di questo Governo. Questo determinerà a mio parere una grande partecipazione al voto, con percentuali superiore a quelle delle elezioni europee nelle consultazioni precedenti. Vediamo quali sono le prospettive in campo.
Il centrodestra nel suo insieme
Un risultato significativo della Lega, che vuole confermare il suo ruolo di azionista di maggioranza dell’eventuale coalizione; un successo di Fratelli d’Italia che recupera lo spazio fisiologico della Destra politica sociale non ridotto a lumicino, ma con percentuali che le ritagliano un ruolo da protagonista all’interno dell’alleanza; il tentativo di Forza Italia di resistere alla perdita di ruolo e mantenere una presenza non simbolica o solo marginale nella coalizione. Tutti risultati probabili, ma il cui rapporto di forza ovviamente assegnerà con chiarezza a ciascuno il suo peso reale nella politica nazionale.
Il Movimento 5 Stelle
Il M5S paga l’impossibilità di mantenere non solo le promesse elargite a piene mani nelle fasi di opposizione dura e pura, ma anche solo le aspettative di reale cambiamento della condizione del Paese. Inoltre evidenzia la sua distanza tra idealizzazioni e fatti reali insieme al coinvolgimento in numerose inchieste giudiziarie che nelle sue presunzioni dovevano essere del tutto estranee al DNA del Movimento. Ma un conto è una deblacle come è stato nel differenziale tra il risultato delle elezioni politiche del marzo 2018 e le successive elezioni regionali e comunali, cioè un sostanziale fallimento del suo progetto politico, e un conto è un ridimensionamento parziale legato alla lentezza e all’inefficacia delle sue azioni di governo.
Il Pd dopo-Renzi
Il Partito Democratico: alla prima prova del problematico dopo-Renzi e del suo dissolvimento nel radicamento territoriale, nonché del problema interno che non è stato superato dalla elezione della nuova Segreteria di Nicola Zingaretti, che ha riportato il Partito nell’alveo tradizionale del PCI-PDS-DS, cioè della sinistra italiana, ma che ha al suo interno nei Gruppi Parlamentari di Camera e Senato la maggioranza di esponenti renziani. Certamente il confronto con il 40,8 % delle Europee del 2014 sarà impietoso, ma ridurre il danno almeno un po’ sopra la metà di quella percentuale potrebbe già essere un segnale di esistenza in vita per quell’area. Decideranno gli Italiani con il loro voto. Ma sopra queste, che sono le ordinarie conseguenze della vita democratica, cioè la consultazione con gli elettori, ci sono altri due piani ancor più importanti da considerare.
La crisi economica
Il primo riguarda le condizioni economiche-sociali degli Italiani, la cui crisi non sembra essere sotto controllo. Aumenta la spesa pubblica, crolla il PIL che da una previsione di crescita dell’1,2% , poi ridotta allo 0,9%, è adesso valutata tra lo 0,2 e lo 0,3%, per non pensare peggio, nel quadro di una Germania che appariva la locomotiva dell’Europa, senza alcun problema, che sta conoscendo le crisi bancarie, a cominciare dalla Deutche Bank, i primi segnali di disoccupazione diffusa ed il crollo della produzione industriale e conseguentemente del PIL. Tutto in una Unione Europea in cui la stessa Francia sfora il deficit di bilancio consentito (senza che alcuno dica nulla o avvii procedure di infrazione) e la Grecia che non è ripartita e tuttora boccheggia. Paradossalmente solo i nuovi Stati dell’Europa dell’Est, pur con i loro problemi sono in crescita.
Ma soprattutto sono le aspettative dei poteri forti, dei cosiddetti “padroni del vapore” ad essere in attesa, sarebbe meglio dire in agguato. “Spread, spread, spread” gridano questi signori, quasi auspicandolo, come un tossico è in attesa della droga. Il loro piano viene sussurrato nei palazzi importanti di Roma e d’Europa, fino al Colle del Quirinale, ed in tutti i circoli esclusivi più o meno opachi del mondo, dalla Trilateral all’Istituto di Studi di Politica Internazionale di palazzo Clerici a Milano, da Bruxelles a Strasburgo, dallo Studio Ambrosetti ad Aspen. Il 31 ottobre scade il mandato di Mario Draghi alla Banca Centrale Europea, il Presidente Mattarella lo nominerebbe Senatore a vita per alti meriti, come già lo fu per Mario Monti ed a metà autunno, nell’assoluta impossibilità da parte delle varie forze politiche, incompatibili tra loro di elaborare una finanziaria 2020, che si prevede di nuove tasse e di taglio della spesa pubblica, inaccettabile da parte di Lega e 5 Stelle, che inoltre appaia accettabile per le istituzioni europee di controllo sulla spesa pubblica,affidare proprio a lui, che ha credibilità, l’incarico di scriverla, affinchè in qualche modo non si proceda nei confronti dell’Italia da Bruxelles con la mano troppo pesante, cioè non attivare le procedure di infrazione che ci costerebbero altri miliardi di spesa.
Elezioni europee: i nodi
Ma è tutto qui il nodo: il voto europeo deve scardinare alla radice lo scenario dei poteri economico-finanziari che sovrasta la politica. L’Europa per ripartire deve dare in tutto il Continente dei segnali di rivolta contro questo Governo-totale sui popoli. Non possono governare Soros, i Fondi, le Multinazionali e i super ricchi sulla vita di tutti, fissare le loro regole, la loro morale e la vita degli Stati e dei popoli. Per questo siamo tutti in attesa del “Big-Bang” del 26 maggio: e non sarà un passaggio indolore, ma forse l’inizio di una riscossa necessaria per l’Europa. Non è detto che la crisi di Governo e Parlamento non inizi già subito dopo il dieci giugno, giorno del ballottaggio nelle decine di capoluoghi di provincia chiamati al voto per il rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali, anrticipando così i piani degli altri.