Altro che fascisti, i veri mostri sono i bulli di Manduria. Vuoti e spietati
L’allarmismo è troppo spesso infondato. Non ci si fa nemmeno più caso: ogni giorno grazie ai social ci indigniamo a comando. Più spesso, negli ultimi tempi, siamo chiamati all’indignazione per il fascismo ritornante. Un allarme che si situa tra retorica e propaganda.
Poi la cronaca – come avvenuto per la triste sorte di Antonio Stano a Manduria – ci consegna materiale incandescente che ci dice molto sui nuovi mostri, i quali dovrebbero avere la precedenza sui fantasmi del passato. Perché sono mostri due volte: prima quando hanno torturato un uomo debole e incapace di difendersi. Poi quando non si sono resi conto dell’enormità dei loro atti. Anzi uno di loro se ne è vantato con una professoressa, dunque senza timore per l’istituzione preposta a educare e vigilare sui comportamenti civici. Un tempo questo tipo di persone venivano chiamate sprezzantemente i “senza-Dio”. Creature senza alcun riferimento etico e sacro. Oggi il senza-Dio è un eroe dei testi rap. Guè Pequeno non canta forse: “Sono solo un altro senza Dio/Mi chiedo se c’ho ancora un po’ di anima“. Fotografia esauriente della condizione giovanile.
I messaggi che gli “orfanelli” torturatori si scambiavano, pubblicati dal Corriere, ci restituiscono un linguaggio slabbrato e privo di regole, proprio come il loro passatempo crudele, torturare un pensionato emotivamente fragile:”Li video di lu pacciu non li faciti vede a nisciuno“. “Tanto io non li tegnu (i video, ndr), sobbra l’iphone6 stanno“. “Ma noi è da assai tempo che non andiamo però“. “Quindi non centriamo va“. “Speriamo che non ce l’anno con noi“. C’è poi un particolare, contenuto nelle carte e rivelato dai media, che risulta agghiacciante: durante una delle spedizioni contro Antonio Stano uno del gruppo si avvicina e dice: “Facciamo pace?”. L’uomo tende la mano. Riceve uno schiaffone in volto.
E’ come se la violenza avesse compiuto un ulteriore salto di livello: c’è del sadismo in questa violenza, c’è il piacere di infierire sull’inerme, sul debole. Come avviene per le maestre che picchiano i bambini, come avviene per gli infermieri che si accaniscono sugli anziani malati di Alzheimer, per i patrigni che ammazzano di botte i figli della compagna come è accaduto al piccolo Giuseppe di Cardito, che aveva solo 7 anni. I nuovi mostri non hanno timor di Dio, non hanno timore delle loro coscienze, e anche la legge – si sa – prevede sempre qualche sconticino di pena che rende la punizione sociale meno spaventosa. C’è sempre tempo per ravvedersi, per pentirsi, per la “buona condotta” che non si è avuta prima.
Tutto intorno cresce l’indifferenza. Non si vede o non si vuol vedere. Tutt’al più si filma la scena dell’orrore. Cade così anche l’ultimo deterrente: la riprovazione sociale che induce all’isolamento e alla vergogna. Il filmato da far girare su whatsapp invece è esibito come la preda del cacciatore in un vortice di immagini dove ciò che è disumano strappa il ghigno di una risata spaventosa.
Dice: sono minorenni, sono ragazzini. E allora? I ragazzini sanno essere feroci peggio delle belve quando cadono i freni inibitori. Lo ha descritto William Golding nel suo libro capolavoro, Il Signore delle mosche, descrivendo l’agire di un gruppo di ragazzini naufraghi su un’isola, senza il controllo degli adulti, in preda al bieco istinto di sopraffazione. Ecco: a Manduria, evidentemente, gli adulti non c’erano. O erano molto ma molto distratti.