Almirante e Berlinguer: un libro sui due nemici uniti dalla lotta al terrorismo

1 Mag 2019 11:56 - di Adele Sirocchi
Almirante

Frammenti di memoria degli anni Settanta, di gesti di leader politici mai abbastanza rimpianti, leader nemici ma che sapevano rispettare l’avversario e che avevano dichiarato guerra ai terroristi rossi e neri. Parte da qui il libro di Antonio PadellaroIl gesto di Almirante e Berlinguer“(PaperFirst) di cui scrive oggi sul Fatto Pietrangelo Buttafuoco.

Buttafuoco recensisce il libro di Padellaro

“Sia il rappresentante inevitabile del male, il fascista – scrive Buttafuoco – che il primo degli antifascisti, il segretario nazionale dei comunisti, hanno l’ossessione della violenza che insanguina l’Italia…”. E non è neanche la prima volta che un fascista e un comunista in segreto si danno la mano e stringono un patto: era accaduto già con Palmiro Togliatti e Pino Romualdi quando, nel lontano 1946, trattarono l’amnistia per i condannati della Rsi.

Il libro di Padellaro non è il solo titolo che rievoca quegli incontri tra Almirante e Berlinguer, i quali si vedevano il venerdì alla Camera, negli anni 1978-79, lontano da occhi indiscreti. Ne scrive anche Adalberto Baldoni nel suo libro “Destra senza veli” e ne hanno parlato in varie interviste Massimo Magliaro (già capo ufficio stampa del segretario missino) e Assunta Almirante.  Almirante e Berlinguer avevano un comune cruccio: che il terrorismo brigatista e quello neofascista potessero imbrattare irrimediabilmente l’immagine dei due partiti, Pci e Msi e decidono di stringere un patto in difesa delle istituzioni minacciate dalle opposte spinte sovversive.

Berlinguer e il suo invito al dialogo tra i giovani

Enrico Berlinguer -come ha scritto Il Secolo in un ricordo del leader comunista del 2012 -fin dal 1951 incarnava un “comunismo dialogante” come dimostra l’invito rivolto ai giovani del Msi a scrivere sulle colonne del giornale della Fgci Pattuglia. Lo racconta Paolo Buchignani nel suo libro Fascisti rossi dove riporta l’appello ai giovani dello stesso Berlinguer «per la salvezza della Patria»: «Noi esortiamo apertamente i nostri 470.000 giovani ad abbandonare ogni orientamento settario ed esclusivista, ad avvicinarsi, in centinaia di migliaia di dibattiti, a tutti i giovani italiani… Noi non escludiamo nessuno, non c’è ambiente, non c’è scuola, fabbrica o villaggio, non c’è giovane con il quale noi non vogliamo discutere. Sappiamo che anche in quei movimenti che si considerano generalmente nostri avversari vi sono giovani in buona fede, giovani che riflettono con la loro testa, forze sane da risvegliare per l’interesse del Paese». Nell’autunno del 1950 Berlinguer impone ai militanti della sezione romana di Monte Sacro di organizzare nella loro sede un incontro con Pino Rauti, che fu anche il primo a rispondere all’invito berlingueriano a scrivere sulla rivista dei giovani comunisti. Un intervento nel quale Rauti si dimostra d’accordo sul giudizio negativo espresso da Botteghe Oscure relativamente alla classe dirigente italiana e alla sua crisi; ritenendo tuttavia che prima ancora della patria e della pace «la gioventù debba discutere di un problema che sta alla base di tutti gli altri, quale compito, quale funzione, quale missione i giovani ritengono di poter indicare oggi a tutto il popolo italiano per farlo uscire dall’abulìa che lo va conquistando sempre di più…». Gesti lontani nel tempo e che difficilmente potranno ripetersi oggi in tempi in cui “svaniti i combattenti della guerra civile (è sempre Buttafuoco che scrive) sono rimasti di sentinella gli spettri dell’odio”.

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