Tagli dissennati e affari delle Coop: «Così hanno annientato la sanità del Lazio»

17 Apr 2019 16:36 - di Sveva Ferri
Sanità

Nel 2018 è stata indicata come la Regione con la peggiore sanità d’Italia. Ora però il Lazio rischia di fare anche peggio. Effetto della combinazione micidiale tra il contesto economico e le disposizioni del governo giallo-verde da un lato e l’imperizia della giunta Zingaretti dall’altro. Un disastro, che rischia di costare carissimo ai cittadini, per i quali la situazione potrebbe precipitare ulteriormente sia in termini economici che in termini di efficienza. A lanciare l’allarme, mentre governo e Regioni discutono di come risollevare il sistema, è la Fials (Federazione Italiana Autonomie Locali e Sanità) del Lazio. Dati alla mano il sindacato illustra i termini di un collasso annunciato, nel quale visione strategica ed efficientamento sono stati soppiantati da esternalizzazioni e tagli. Con il risultato che il sistema è stato accompagnato ancora di più verso il baratro, invece che verso il riscatto.

Cittadini «super tartassati» e deficit più alto

«Il piano previsionale di assunzioni del governo gialloverde è un mero bluff, perché il Lazio pagherà l’handicap di essere una regione “canaglia” ancora sottoposta a piano di rientro e quindi con un deficit da sistemare. Vale a dire che malgrado gli sforzi enormi dei cittadini super tartassati dall’addizionale Irpef, dai tagli di reparti, specialità, posti letto e chiusura degli ospedali il Lazio è riuscito a far crescere il proprio deficit», ha spiegato la Fials, incrociando annunci del governo e situazione economica italiana. Dunque, il Lazio più di altre regioni pagherà le previsioni negative per la nostra economia, a causa di responsabilità che appaiono totalmente politiche e che il sindacato attribuisce alla giunta Zingaretti, ma anche alle precedenti Polverini e Marrazzo. «È mancato il controllo sulla spesa, sul sistema di reclutamento, sugli appalti e al contempo le aziende sanitarie e gli enti del Ssr hanno avuto campo libero per nascondere i debiti», ha chiarito Roberto Lazzarini della Segreteria regionale Fials del Lazio, svelando il “trucchetto”: «La spesa per il personale è passata al capitolo beni e servizi in quanto, gli affidamenti esterni a onlus, cooperative e i contratti atipici co.co.co. rinnovati innumerevoli volte, gli operatori sanitari a partita Iva e gli interinali non hanno fatto che far crescere i dispendi di risorse pubbliche».

Gli infermieri sacrificati alle coop

A giovarsene sono state soprattutto le coop. Personale sanitario e cittadini, invece, facevano le spese del progressivo collasso di quel sistema universalistico sancito dalla Costituzione e «che tutto il mondo ci invidia», tanto che anche «la Cina si sta avviando a regolare l’assistenza pubblica sul modello italiano». Nel Lazio, però, è la denuncia della Fials, è stata scelta la strada inversa, quella di «non erogare più le prestazioni sanitarie piuttosto di acquistarle dai privati». Con un impatto fortissimo sulla qualità del servizio e delle condizioni di lavoro per gli operatori. Il sindacato porta l’esempio degli infermieri, che sono pochi e precarizzati ma paradossalmente costano di più: un infermiere guadagna tra gli 8 e i 9 euro lordi l’ora, ma ci costa tra i 24 e i 28 euro, che è ciò che percepisce la cooperativa che formalmente lo impiega. Così «il costo del personale aumenta mentre il lavoratore viene annientato e sfruttato: siamo di fronte a un caporalato sanitario non indifferente in capo alle coop», ha chiarito il segretario della Fials Mauro Bufacchi, sottolineando che «a oggi si stimano nel Lazio circa 4mila lavoratori atipici nella sanità». Significa che queste figure professionali specializzate si ritrovano spesso senza ferie, senza malattie, senza Tfr, chiamate per contratti mensili a partita Iva per metà dello stipendio e il doppio delle ore dei colleghi assunti. Infermieri-rider, li chiamano, associandoli a una delle categorie di lavoratori più sfruttati e meno tutelati che vi siano oggi in Italia. Con un paradosso: di infermieri c’è un disperato bisogno e ce ne sarà ancora di più per effetto di “Quota 100”, quando – secondo le stime – «potranno essere oltre 2.500, su un totale di 5.300, gli infermieri che andranno in pensione».

Caso Eastman: «Struttura accorpata, deficit triplicato»

«Mandare avanti queste figure significa non rispettare il lavoro di alcuno, mettere a rischio i Livelli essenziali di assistenza (Lea) con grave ricadute sulla salute dei pazienti e pesanti ripercussioni sulle famiglie. Paradossi che sono tanto nel sistema pubblico, ma ancora di più in quello privato convenzionato e negli ospedali classificati dove i controlli per l’accreditamento non vengono assolutamente effettuati. Anzi alla luce dei fatti e della volontà di annientare la sanità pubblica meno questa lavora e meglio è. Con conseguente moltiplicazione del deficit come il caso dell’ex ospedale Eastman», ha spiegato il dirigente sindacale Stefano Di Matteo, chiarendo che «qui dopo l’accorpamento alla Clinica odontoiatrica del Policlinico Umberto I in due anni il deficit è stato triplicato». È stata poi l’avvocato della Fials Livia Palmieri a sottolineare che tutto ciò avviene con un «abuso delle normative esistenti» e con il paradosso che «i nostri precari atipici per la maggior parte hanno sostenuto esami e selezioni per entrare nelle graduatorie e essere assunti a tempo indeterminato secondo i dettati contrattuali».

L’allarme Fials: «Inderogabile invertire la rotta»

«È inderogabile invertire la rotta dei tagli, del precariato fuori controllo e dell’intermediazione di manodopera immettendo risorse fresche, diversamente il Sistema sanitario regionale sarà inevitabilmente condannato a morte», ha ammonito Bufacchi, ricordando che i finanziamenti per la sanità di Roma devono tener conto anche dell’afflusso di turisti. «Avviare un percorso di regolarizzazione del gettito significa puntare a riconoscere un’autonomia differenziata anche nella Capitale e in questo modo conteggiare anche tutti i cittadini non residenti», che «usufruiscono dei nostri presidi sul territorio».

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