Ma l’estradizione di Julian Assange negli Usa potrebbe nuocere a Trump
Per Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks arrestato a Londra, adesso il pericolo è l’estradizione negli Usa. Che, però, potrebbe anche rivelarsi il suo asso nella manica. Un’arma a doppio taglio. Perchè, per forza di cose i riflettori dell’eventuale estradizione, e del sicuro processo che ne seguirebbe, sarebbero tutti puntati su di lui e su quello che dal suo sito di documenti (tutti, ma proprio tutti, sempre assolutamente autentici!) potrebbe ancora venir fuori. Certo è che potremmo assistere ad una bella battaglia legale prima e politica, poi. Intanto perchè gli inglesi lo hanno arrestato, sollevandolo di peso e portandolo fuori dall’ambasciata equadoregna (che gli aveva tolto lo status diplomatico), sulla base di un mandato di cattura emesso da una procura svedese che, però, nel frattempo aveva fatto decadere le accuse contro di lui avanzate da due sue ex amanti. E poi perchè la base giuridica a sostegno dell’accusa per l’eventuale estradizione negli Usa è una più che traballante accusa di spionaggio. Spionaggio al servizio di chi? Di chi legge WikiLeaks? Spionaggio, cioè, al servizio di una verità che Stati e governi non direbbero mai ai loro cittadini? Argomento piuttosto ostico da sostenere. Ma c’è di più. C’è che sarebbe curioso da vedere l’atteggiamento di Donald Trump, assai cauto alla notizia dell’arresto di Assange. Il presidente americano, interpellato, ha glissato e ha negato di avere informazioni. Ma in tanti non hanno potuto far a meno di ricordare l’entusiasmo twittato a più riprese da The Donald per WikiLeaks e per lo sputtanamento della Hillary Clinton grazie alla pubblicazione delle sue mail riservate. Magari non sarà un eroe Julian Assange. Ma a farlo passare per malfattore ce ne corre. E sarà complicato, parecchio complicato, per gli americani condannare chi ha pubblicato documenti autentici nel mentre intrattegono rapporti idilliaci con il saudita Bin Salman. Quello che ha fatto assassinare Jamal Khashoggi.