L’infelice vita di Antonio Ligabue in mostra a San Gallo: 100 anni fa l’artista fu espulso dalla Svizzera

15 Apr 2019 14:12 - di Redazione

Antonio Ligabue è chiamato dagli svizzeri il “Van Gogh italiano”, e così si chiama la mostra che si è appena aperta al museo Lagerhaus di San Gallo, non lontano da Zurigo, che potrà essere visitata sino al prossimo 8 settembre. Ed è curioso che la grande mostra, che esporrà anche opere di Ligabue provenienti dall’Italia, si apra proprio cento anni esatti dopo che l’artista fu espulso dalla Svizzera dalle autorità, dove pure era nato e vissuto per 20 anni, e mandato in Italia nel paese di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, di dove era originario il suo patrigno, Bonfiglio Laccabue, che in Svizzera aveva sposato la madre, italiana del Bellunese, e gli aveva dato il nome. Ligabue era figlio di padre ignoto ma era nato nel San Gallo. Dopo la morte della madre e dei tre fratelli in circostanze misteriose, pare per un’intossicazione alimentare che Ligabue attribuì sempre al patrigno, il ragazzo fu affidato a una coppia di svizzeri senza figli, ma egualmente molto povera. La sua infanzia e adolescenza furono caratterizzate da povertà e ristrettezze, oltre che da diverse malattie che lo segnarono tutta la vita. Nato nel 1899, già nel 1917 iniziarono i ricoveri nelle cliniche psichiatriche per atti di violenza fino alla citata espulsione dal Paese nel 1919. Arrivato a Gualtieri, però, Ligabue non sapeva una parola di italiano e non conosceva nessuno. In paese lo chiamavano “il matto” o “il tedesco”, per via della lingua che parlava. Dopo un primo tentativo di fuga per tornare in Svizzera, Ligabue, che frattanto aveva scelto di chiamarsi così, forse in odio al patrigno, visse della carità e dell’elemosina dei paesani, guadagnandosi da vivere come manovale e con altri lavoretti. Pur non riuscendo molto bene negli studi, tuttavia il ragazzo trovava conforto nel disegno, e fin da adolescente disegnava per ore più che altro animali, soprattutto esotici come leopardi, tigri e leoni. A Gualtieri Renato Marino Mazzacurati lo conobbe e lo instradò sulla strada della pittura. Così, tra un lavoro e l’altro, Ligabue dipingeva le sue fiere e a quanto pare scambiava i suoi dipinti con generi di prima necessità. Durante la Seconda Guerra Mondiale fece l’interprete con le truppe tedesche in Emilia Romagna, ma poi, per aver aggredito con una bottiglia un militare tedesco, fu di nuovo ricoverato in manicomio. Oltre ai quadri, Ligabue si dedicò anche alle sculture, ma molte di esse andarono perdute perché non le cuoceva al forno. Dopo la guerra, però, il mondo artistico si accorse di lui e le sue opere vennero valorizzate, persino con una prima mostra personale a Roma, organizzata nel 1961. Ligabue morì a soli 65 anni, nel maggio del 1965. Oggi è un artista naif riconosciuto e apprezzato, e spesso di mette in relazione il suo genio con la sua follia. La Svizzera, che un secolo fa lo cacciò dalla sua terra, oggi sta tentando di valorizzare Ligabue tramite queste iniziative, evidenziando anche che nella Confederazione nacquero e operarono altri artisti-contadini, naif, la cui storia è paragonabile a quella di Ligabue. Il curatore della mostra di San Gallo è Sandro Parmiggiani, conoscitore profondo dell’opera di Ligabue, Monika Jagfeld, mentre il catalogo è stato curato da Renato Martinoni, studioso della biografia dell’artista.

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