L’accusa di un poliziotto: «Noi impotenti. Il pm ci ordinò di liberare il senegalese Migui»

26 Apr 2019 10:09 - di Gabriele Alberti

C’è tempo. Il migrante senegalese che ha tentato di uccidere a sprangate due poliziotti, spedendoli in ospedale, non verrà rimpatriato subito. C’è rabbia, sconcerto, indignazione da parte dei poliziotti nei confronti della magistratura e del pm in particolare che ha dato il via libera per liberare l’immigrato, Ndiaye Migri.  Una brutta storia che ci parla di impunità, di insicurezza, di pronunce imbarazzanti da parte del pm che appaiono senza senso, inconciliabili con il buon senso di giustizia comune.

Tempi lunghi per il rimpatrio

Ecco chi è questo “galantuomo”, senza fissa dimora. La brutta storia inizia il 29 marzo scorso quando era stato un pm a liberare Ndiaye Migui che era stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale: aveva tentato la fuga dalla Questura colpendo un agente e creando scompiglio negli uffici. Non contento, aveva insultato l’Italia e si era opposto alle normali procedure di identificazione e fotosegnalamento. Il procuratore, però, ne aveva disposto lo stesso «l’immediata liberazione» nonostante nessuno fosse riuscito «a risalire all’identità» e alla sua «posizione giuridica». Così, liberato, una ventina di giorni dopo ha tentato di uccidere due poliziotti, in piena Pasqua, colpendoli a Torino al grido di ‘Allah Akbar’. Ora è agli arresti, ma in attesa del processo che lo vede accusato di tentato omicidio, i tempi per la  procedura di rimpatrio saranno lunghissimi. Solo dopo la pronuncia del giudice potrà essere avviata la procedura di rimpatrio. E qui le cose si complicano maledettamente perchè il sengalese non ha documenti, dunque, della sua espulsione non potrà occuparsene il Consolato di Torino. La procedura dovrà essere aperta presso l’Ambasciata del Senegal a Roma. E qui i i tempi si allungano. Il Senegal infatti dovrà riconoscerlo come proprio cittadino, sebbene in assenza di documenti. Se (e non è detto) questo dovesse accadere, allora inizierà il processo per il rimpatrio. Un’assurdità.

La lettera accorata del poliziotto

Lo stato d’animo dei poliziotti è giunto a un livello di guardia. Uno degli agenti che il 29 marzo arrestò il migrante – G. Valenti – ha preso carta e penna e scritto una lettera indirizzata alla procura che non è stata presa molto bene dai giudici. Uno sfogo più che giustificato. «Buongiorno, sono il capopattuglia che ha arrestato il senegalese il 29 marzo…ci tengo a descrivere il resto dei fatti se questo può essere un elemento utile perché andiate a fondo a questa VERGOGNOSA vicenda….», è l’incipit. Prosegue il testo pubblicato su Varesepress: «
Il senegalese in Questura, pur capendo perfettamente l’ italiano si rifiutava categoricamente di declinare le proprie generalità mettendo in atto un susseguirsi di insulti contro SALVINI, la POLIZIA DI STATO e Il SOTTOSCRITTO…altro reato a suo carico…Messa in essere un’ opera di convincimento verbale con tutta la gentilezza di questo mondo mia e del collega, l’ egregio senegalese all’atto del fotosegnalamento ha pensato bene di opporsi al rilievo delle sue impronte BEFFEGGIANDO DIVERTITO me ed il collega. L’ egregio Signore ha continuato la sua forma di protesta insultando nuovamente noi. Ha pensato bene di alzarsi dalla sedia dove era comodamente seduto per alzarsi e andarsene via cercando di uscire dalla Questura …bloccato per un braccio dal mio autista, il soggetto ha reagito stampandogli una manata in faccia…veniva bloccato definitivamente e posto in ARRESTO».

Il Pm: «Fatti di lievissima entità»

Qui viene il peggio: «Si notiziava TEMPESTIVAMENTE dell’ arresto e dei fatti, il PM di turno che, ritenendo i fatti di LIEVISSIMA gravità ha riferito che se dagli AFIS (rilevazione delle impronte) non fosse uscito precedente specifico non avrebbe adottato alcuna MISURA nei confronti dell’ egregio signore». Di nuovo spiegata l’ impossibilità di procedere al fotosegnalamento il PM rispondeva: «Non mi importa quanto tempo ci mettiate, provte a convincerlo a farsi fotosegnalare finché non cederà alle vostre richieste. Ricordandogli – prosegue il poliziotto – che il soggetto era in stato di arresto e ribadendo che non c è stato verso di fotosegnalarlo, si richiedeva la possibilità di procedere coattivamente ai rilievi per poter fornire lei i riscontri Afis utili».

Così il Pm ordinò la scarcerazione del senegalese

Questa è stata la risposta: “Non autorizzo atto di violenza e contrario alla volontà di questa persona. Questa si chiama tortura”. Allibiti da tali parole e perplessi per il totale menefreghismo del PM circa il suo totale disinteresse in merito ai fatti occorsi, si rimaneva di stucco quando a conclusione della telefonata disponeva l’immediata liberazione». Ua storia finita con ortto punti di sutura etanta tanta impotenza  frustrazione da parte dei poliziotti.

Commenti

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  • erwin 26 Aprile 2019

    In un paese normale si penserebbe a “scherzi a parte” nel nostro, purtroppo è realta quotidiana. I giudici prendono per i fondelli Salvini e l’Italia intera, discriminando le forze dell’ordine.