La “spending review” appena cominciata, è già finita: revocati i commissari
Nominati e revocati nel giro di dieci giorni. Il governo del cambiamento è anche questo: smentire se stesso senza sprezzo del ridicolo e, per di più, su un tema – quello della spending review, cioè la revisione della spesa – evocato un giorno sì e l’altro pure se c’è da mettere una “pezza” finanziaria a copertura dei “buchi” del bilancio dello Stato. Tutto è cominciato il 18 aprile scorso, nella riunione del Consiglio dei ministri tenutasi nella prefettura di Reggio Calabria. Al termine dei lavori, un comunicato ufficiale informa della nomina della grillina Laura Castelli e del leghista Massimo Garavaglia, entrambi viceministri all’Economia a nuovi commissari della spending review. Saranno loro ad individuare gli sprechi e a tagliarli come rami secchi. Solo per dieci giorni, però. il tempo di apprendere che quello di Reggio Calabria era solo un set di Scherzi a parte e che la spending review gialloverde appena cominciata, è già finita. Proprio come la celebre festa cantata da Sergio Endrigo.
La grillina Castelli e il leghista Garavaglia in carica solo 10 giorni
La nomina dei due commissari, informa infatti un servizio de il Giornale, è stata ritirata all’unanimità dal governo. Ci si potrà consolare pensando che la figuraccia rimediata almeno consentirà alla Castelli e a Garavaglia di non pestare i piedi al premier, come accadde ad esempio a Carlo Cottarelli ai tempi di Renzi né proveranno l’amarezza di veder regolarmente disattese le loro raccomandazioni, retrogusto comune ai tanti commissari – da Padoa Schioppa a seguire – che ci hanno provato. Una regola cui non è sfuggito neppure il governo presieduto da Mario Monti, che individuò in Enrico Bondi il suo mister Manidiforbici con tanto di obiettivo: rastrellare tre miliardi di euro. La resistenza dei ministri fece subito capire che si trattava di una mission impossible costringendo il Professore a ripiegare sulla stangata fiscale sulla casa e sulla legge Fornero sulle pensioni.
Sui tagli della spending review sarà Tria a metterci la faccia
Com’è prassi collaudata del sedicente governo del cambiamento, il giro di valzer sulla spending review ha una motivazione elettoralistica: perché – si saranno detti Salvini e Di Maio – intestarci direttamente la parte dei cattivi quando c’è apposta un ministro tecnico, Giovanni Tria, che nella parte del parafulmine davvero non ha rivali? A far paura non sono i tagli di 2 miliardi che arriveranno dai ministeri bensì quelli che andranno a incidere sui servizi pubblici e poi graverà sui Comuni. Secondo le stime del governo, nel 2021 la spending review dovrà dare 5 miliardi, che diventano 8 nel 2022. Tagli, si badi bene, non compresi nella manovra in programma per il 2020, con 23,1 miliardi di aumenti Iva da evitare. Una partita, questa, che può rivelarsi decisiva per la vita del governo.
ancora con i taglii!!!! ancoraaaa!!!!
ma allora non si è capito nulla di nulla oppure…peggio ancora si è dalla parte ddell’usuraio soros!!!
austerity/tagli/pareggio bilancio servono solo (ormai è conclamato, lo sanno tutti gli economisti seri del pianeta) a creare povertà, difficolta e privatizzazioni… a meno che non si miri proprio a quelle (privatizzazioni che sono state un’autentica sciagura).
Ci vuole l’esatto opposto, sviluppo e spasa pubblica a deficit e…fuori dall’euro, di questo necessita l’Italia e spero che noi di FdI si abbia il coraggio di dirlo forte e chiaro e di farlo 8con il pieno consenso dei cittadini).
Basta austerity basta tagli alla spesa, dobbiamo fare l’esatto opposto di questa formula euro-pea che ci sta letteralmente strozzando l’economia Italiana.