La Procura chiede 10 anni e mezzo per l’ex-paladino antimafia Montante

23 Apr 2019 17:48 - di Redazione
Antonello Montante

Era considerato il paladino dell’antimafia militante per antonomasia ma ora per Antonello Montante, l’ex-presidente degli industriali siciliani accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione nell’ambito del processo sul cosiddetto “sistema Montante”, che si celebra con il rito abbreviato davanti al gup Graziella Luparello, la Procura di Caltanissetta ha chiesto la condanna a dieci anni e sei mesi dopo una requisitoria-fiume durata cinque udienze.
Unica assoluzione sollecitata dai magistrati dell’accusa quella per Alessandro Ferrara, dirigente della Regione Sicilia.

Il procuratore capo Amedeo Bertone, presenti in aula i pm Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso che rappresentano l’accusa, ha sollecitato pene pesanti per cinque dei sei imputati. Alla sbarra, oltre a Montante, Gianfranco Ardizzone, ufficiale della Guardia di Finanza, per il quale sono stati chiesti quattro anni e sei mesi, Marco De Angelis, funzionario della Questura di Agrigento, per il quale vengono chiesti sei anni e undici mesi di carcere, Andrea Grassi, attuale questore di Vibo Valentia – per lui chiesti due anni e otto mesi di reclusione – e, infine, Diego De Simone, responsabile security di Confindustria, per il quale la Procura di Caltanissetta chiede sette anni e un mese di carcere.

Sono tutti accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, alla rivelazione di notizie coperte dal segreto d’ufficio, al favoreggiamento.
E, secondo l’accusa, Montante, che dopo avere trascorso quasi un anno in carcere si trova adesso agli arresti domiciliari, avrebbe cercato di ottenere notizie riservate sui profili di alcune persone di suo interesse.
Come emerso durante la requisitoria, Montante è ancora indagato dalla Procura di Caltanissetta, per concorso esterno in associazione mafiosa.
In media, come spiegato dai pm durante la requisitoria, sarebbero stati effettuati nove accessi abusivi ogni tre mesi per un arco di 7 anni per cercare informazioni anche su alcuni collaboratori di giustizia, sull’ex-presidente dell’Irsap, Alfonso Cicero, parte offesa e parte civile, e il magistrato ed ex-assessore regionale Nicolò Marino.

Per la Procura di Caltanissetta non ci sono più dubbi: la catena di fuga di notizie sarebbe stata alimentata da alcune “talpe” istituzionali. Gli imputati, appunto: «Mentre noi lavoravamo di giorno, qualcuno di notte disfaceva le indagini», ha denunciato, con amarezza, il pubblico ministero, Stefano Luciani, nel corso della requisitoria.

La requisitoria dei pubblici ministeri Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso è iniziata dalla posizione di Andrea Grassi, attuale questore di Vibo Valentia, all’epoca dell’inchiesta funzionario del Servizio centrale operativo della polizia di Stato.
Il dirigente di polizia è accusato di aver fatto filtrare la notizia dell’indagine condotta dalla squadra mobile nissena su Montante.
Per le rivelazione sono indagati anche l’ex-capo dei servizi segreti Arturo Esposito, l’ex-presidente del Senato Renato Schifani, il tributarista palermitano Angelo Cuva e l’ex-capocentro della Dia di Palermo, il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, che hanno tutti scelto di essere giudicati con il rito ordinario.

Sotto la lente di ingrandimento dei pm la figura dell’ex-presidente dell’Irsap Sicilia, Alfonso Cicero, parte civile nel processo, il quale avrebbe subito minacce e intimidazioni da Antonello Montante.
In particolare Montante, secondo l’accusa formulata dai pm, avrebbe voluto che Cicero firmasse una lettera con data retroattiva al 10 luglio 2014: «Nella stessa Cicero avrebbe dovuto dichiarare che l’azione di denuncia contro mafia e affari nelle aree industriali della Sicilia era frutto delle sue indicazioni», sostengono i pm.
La data della lettera doveva essere firmata prima del 10 luglio 2014, poiché quel giorno Cicero era stato audito dalla Commissione Antimafia nazionale.

Il pm Maurizio Bonaccorso, durante la requisitoria, parlando della posizione dell’ex-comandante della guardia di Finanza di Caltanissetta, Gianfranco Ardizzone e del suo presunto scambio di favori con l’ex-leader di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, ha ribadito, indicando anche le intercettazioni telefoniche inserite negli atti dell’inchiesta, come il colonnello Ardizzone, tramite Montante, avrebbe ottenuto il trasferimento dalla Dia di Reggio Calabria a quella di Caltanissetta e un posto di lavoro al Confidi per la figlia Giuliana.

Ad Ardizzone viene contestato anche di avere effettuato controlli fiscali ”favorevoli”, insieme al comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza Ettore Orfanello, nei confronti dell’imprenditore Massimo Romano, leader di una catena di supermercati in Sicilia.
Visite fiscali più rigorose, invece, sarebbero state effettuate nei confronti di altri operatori economici che Montante riteneva ”nemici” del suo sistema.
Parti offese anche i giornalisti Attilio Bolzoni, Gianpiero Casagni, Enzo Basso e Graziella Lombardo di Centonove. Tutti oggetto di accessi abusivi allo Sdi per ottenere notizie sul loro conto. E oggi sono arrivate le richieste di pena.

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