Il pentito Mutolo: «Mafia decapitata». Messina Denaro? «Un boss di provincia»
Fosse vero quel che Gaspare Mutolo ha detto in un’intervista all’Adnkronos, la notizia farebbe felici la stragrande maggioranza degli italiani. Ma poi getterebbe nel più cupo sconforto quelli che Leonardo Sciascia bollò come «professionisti dell’antimafia», quelli – cioè – che stanno contro Cosa Nostra come i topi stanno nel formaggio, cioè talmente bene da non volerne mai la fine. Per costoro non sarà conveniente accettare per le parole dell’ex-autista di Totò Riina e pentito di rango: «La mafia è stata completamente decapitata, i capi storici sono stati presi tutti, molti sono morti». Per Mutolo, persino Matteo Messina Denaro, l’imprendibile “primula rossa” da tutti accreditato come il nuovo “capo dei capi“, appare destinato a deludere eventuali aspettative di immediata rivincita: «È un capomafia solo nel trapanese, e basta», taglia corto. «I palermitani non gli permetterebbero mai di guidare Cosa Nostra. La mafia palermitana non si assoggetterà mai alla mafia di Agrigento, di Catania o Trapani».
Mutolo è stato l’autista di Totò Riina
Per i mafiologi l’analisi di quello che è stato uno dei più spietati killer agli ordini di Totò u’ curtu è interessante perché è esattamente il contrario di quanto egli stesso aveva sostenuto nel 2013 ne “La mafia non lascia tempo“, libro scritto a quattro mani con Anna Vinci. Allora la previsione di Mutolo fu agghiacciante: «Ho paura – scrisse – che ci sarà una stagione più violenta di quella del ’92-93». Oggi ha cambiato idea. «Non lo penso più – racconta – Cosa Nostra ha eseguito alla lettera quello che ha detto Bernardo Provenzano, e ha capito che la violenza non paga, ed è ciò che è accaduto».
Collaborò grazie a Borsellino
Il nome di Mutolo è strettamente connesso alla morte di Paolo Borsellino. Una connessione, in verità, sempre negata da Tommaso Buscetta, il primo grande pentito di mafia, che ha invece fatto risalire la strage di Via D’Amelio in cui, oltre al magistrato palermitano furono massacrati anche i cinque agenti della sua scorta, alla controversa trattativa Stato-mafia. Borsellino fu ucciso perché contrario. «Che Mutolo si stava convincendo a collaborare con la giustizia – disse ancora don Masino – me lo disse il dottor Giovanni Falcone già nel 1984, e non credo che il fatto che abbia reso le dichiarazioni al giudice Borsellino, era un motivo sufficiente per giustificare la strage». Tutt’altra la ricostruzione di Mutolo: «L’allora procuratore Giammanco – rivela – non voleva che io parlassi con Borsellino, io non volevo più collaborare, e lo può testimoniare De Gennaro. Io mi ero messo d’accordo con Falcone e Giannicola Sinisi, l’ex pm che ora fa politica. E Falcone mi indicò Borsellino. Giammanco disse di no si perse un po’ di tempo ma ho vinto io perché ho collaborato con le persone che volevo io…». Mutolo, infine, ha negato l’esistenza di seconda guerra di mafia: «Erano omicidi e basta dei corleonesi… Loro uccidevano donne e bambini. La mafia era un’altra cosa».