Europa, per mantenerla in vita la strada migliore è farla a tre velocità
Distruggerla o conservarla? Restarci o venirne fuori? Parlo dell’Unione Europea, naturalmente. Da sempre, euroentusiasti ed euroscettici si dibattono fra queste alternative, magari con qualche velo, con qualche prudenza, talora con qualche ipocrisia. Eppure, basterebbe un po’ di sano realismo per convincere tutti che nessuna delle due alternative è priva di grossi, grossissimi inconvenienti. E allora? La soluzione è probabilmente piú semplice di quanto si possa pensare.
Occorre tuttavia partire da lontano, perché non è possibile elaborare una credibile “linea europea” se non prendendo le mosse dalla constatazione degli errori di fondo che sono alla base della attuale costruzione comunitaria. Tralascio volutamente altre considerazioni d’ordine politico-sociale, che potrebbero condurci lontano. Mi soffermerò soltanto – e brevemente – sulla articolazione dell’Unione Europea; perché è tale articolazione, intrinsecamente sbagliata, radicalmente sbagliata, che origina la divaricazione dei diversi interessi nazionali. Divaricazione, contrapposizione, inconciliabilitá che nega in partenza la stessa definizione di “Unione”. La UE, infatti, è una unione disunita, un ossimoro, una contraddizione in termini. È concepibile una Unione dove – per esempio – la componente Germania abbia interesse a mettere in ginocchio la componente Grecia, o dove – per fare un altro esempio – la politica dell’immigrazione austriaca sia incompatibile con la politica dell’immigrazione italiana?
La verità è che pensare di includere in una stessa “unione”, di far convivere in una medesima struttura 28 paesi tanto profondamente diversi fra loro, è stata fin dall’origine una utopia allo stato puro. Basta una occhiata ai rispettivi PIL per rendersene conto. Si va dai 109.000 dollari di PIL pro-capite del Lussemburgo ai 24.000 della Romania, con un rapporto di ricchezza reale, quindi, che è quasi di 5 a 1. In mezzo, fra i due estremi del Lussemburgo e della Romania, c’è di tutto. Semplificando al massimo, i paesi dell’area nordica e germanica stanno nella parte alta della classifica, e i paesi dell’est nella parte bassa.
I paesi latino-mediterranei sono in posizione intermedia: 43.500 dollari la Francia, sui 38.000 la Spagna e l’Italia, fanalino di coda il Portogallo con 30.000 dollari. La nostra Europa – diciamocelo chiaramente – è questa; eventualmente con l’aggiunta di Grecia e Cipro. Paesi economicamente compatibili (il rapporto fra il più ricco e il più povero è di 4 a 3), omogenei politicamente, culturalmente, socialmente, antropologicamente, peraltro con una medesima matrice linguistica di derivazione latina. Diversa cosa è l’opulenta Europa tedesco-scandinava. Altra cosa ancora è l’Europa Orientale, che in larga parte sconta ancora i guasti dell’ereditá comunista.
Da queste considerazioni potrebbe derivare una proposta programmatica mediana fra quelle del mantenimento o della dissoluzione dell’attuale Unione Europea: quella che, pur mantenendo una sovrastruttura comune unitaria, si articoli in almeno 3 diverse aree europee intermedie, con l’obiettivo immediato di pervenire ad una effettiva integrazione interna alle singole aree, per giungere ipoteticamente in un secondo tempo ad un ulteriore livello di integrazione, da negoziare successivamente e, ovviamente, su basi e con parametri completamente diversi dagli attuali. Credo che questa sia l’unica soluzione realistica per dare un senso e un significato alla “Unione”.