Alle origini del diritto d’asilo: anticamente esisteva solo il dovere di battersi per la patria

17 Apr 2019 14:11 - di Daniele Milani

La crisi, o, per meglio dire, la prosecuzione della crisi libica, riporta sulle prime pagine dei giornali il tema del diritto all’accoglienza.

Uno dei contendenti, Fayez al Sarraj, presidente riconosciuto della Libia da parte della comunità internazionale “minaccia” l’arrivo in Italia e quindi in Europa di 800.000 profughi di guerra, come tali tutelati dalle leggi internazionali sui rifugiati quali aventi diritto di asilo.

A parte la enormità della cifra, chiaramente inattendibile e strumentale ad una richiesta di appoggio, vale la pena di svolgere alcune inattuali e forse inattuabili ( al cospetto del pensiero dominante) considerazioni sulla normativa e la morale politica che regolano il problema.

Il diritto di asilo, così come configurato dalla normativa internazionale, è innanzitutto attribuito a coloro che fuggono dalle guerre, che queste siano civili o combattute contro forze straniere.

Appare tale assunto singolarmente in contrasto con l’articolo 52 della nostra Costituzione che testualmente recita “ la difesa della patria è sacro dovere del cittadino”.

In tal guisa, l’accoglienza di coloro che fuggono dalle guerre, paradossalmente, si configurerebbe come un’attività viziata da profili di incostituzionalità, per la sua manifesta discrasia rispetto alla normativa internazionale derivante da altre fonti legislative.

Siamo consci che quanto fin qui esposto, è soltanto una sterile ma inconfutabile disquisizione giuridica.

Altra cosa è il merito della questione.

Da quando mondo è mondo gli uomini e le donne, in caso di guerra che coinvolga il loro paese, non hanno alcun diritto di fuggire; al contrario hanno il dovere di battersi per il bene superiore della loro nazione, per la libertà del loro popolo e per la realizzazione dei fini politici che condividono.

La storia dell’umanità, da sempre, e scandita da guerre civili e non; non risulta che in passato nessuno sia mai scappato.

Pe rimanere in tempi recenti durante la guerra civile americana non c’è traccia di cittadini che siano scappati in Messico o in Canada; in Europa, durante le guerre mondiali che hanno visto innumerevoli stati belligeranti non c’è stato nessuno che è fuggito in Asia o in Groenlandia, così come mai nessuno nell’antichità è fuggito da guerre a qualsiasi titolo scatenate.

Nei nostri giorni si è, invece, configurata una nuova etica alla quale si è voluto dare forma di diritto.

Anche nel nostro tempo ci piace ricordare una eccezione collettiva.

Crediamo che quasi mai si sia visto un curdo in giro per una terra diversa dalla sua, pure martoriata da centinaia di anni da conflitti tremendi.

Ci avviciniamo, con grande rispetto, alla tragica epopea dei Peshmerga.

Il nome significa letteralmente “colui che è di fronte alla morte”, ed in effetti il combattente, ci verrebbe da definirlo il legionario, Peshmerga da oltre un secolo è in piedi, di fronte all’evento supremo, con la sua incrollabile volontà di difendere l’esistenza del suo popolo, quello curdo.

Il popolo curdo annovera tra i suoi antenati lo straordinario personaggio di Salah el Adin, conosciuto in Occidente, banalmente come il feroce Saladino, ma annoverato da Dante come uno spirito non cristiano non meritevole dell’Inferno e quindi posto nel limbo, insieme a Giulio Cesare,Ettore, Socrate e Platone.

E tuttavia, i Peshmerga, da 100 anni si battono, con onore, contro tutti quelli che vogliono estirpare dalla terra i curdi: turchi, iracheni, siriani e occidentali di vario rango, tutti hanno cercato di perpetrare un genocidio, o di assistere impassibili allo stesso, del quale, per la verità, poco si parla.

I loro nemici hanno messo in campo attività belliche ignobili: dai bombardieri senza piloti al terrorismo infame. I combattenti Curdi sono di un’altra scuola, scarponi sul terreno, mitra e bombe a mano, roba d’altri tempi.

Però funzionano; e, alla loro maniera, hanno restituito dignità e decoro a una guerra che in loro assenza sarebbe soltanto l’ennesimo episodio di macelleria.

Alla fine non otterranno per il loro popolo grandi favori da coloro che la guerra non la sanno fare e tuttavia si arrogano il diritto di scatenarla per motivi talmente bassi da non meritare neanche menzione. Continueranno a non avere una terra, ma resteranno però una nazione, cioè un’unità di destini.

Per ora è tutto quello che possono permettersi gli eredi del Saladino.

Altro che diritto di asilo.

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