25 aprile 2019, si parli anche delle zone d’ombra dell’antifascismo

24 Apr 2019 14:56 - di Mario Bozzi Sentieri

Di retorica si può morire. A confermarcelo l’enfasi che continua ad avvolgere la data del 25 aprile, la fatidica giornata della Liberazione. Tanta dolciastra ricorrenza è evidentemente tutta interna all’uso strumentale dell’appuntamento, utilizzato, mai come quest’anno, per evidenti finalità politiche.
Il Pci, da subito, lo aveva utilizzato per mascherare le sue tare ideologiche, il doppiogiochismo staliniano, soprattutto la necessità di essere legittimato all’interno del sistema democratico. A sinistra e non solo, molti oggi lo usano per analoghe necessità politiche. Ad uscirne malconcia è innanzitutto la verità storica e quindi la legittimità di una data che – secondo i suoi cultori – dovrebbe essere alla base del nostro sistema costituzionale. Qualche domanda è d’obbligo.
È – come si dice – proprio grazie alla Resistenza che l’Italia ha potuto godere di 74 anni di libertà? D’accordo, la Storia non si fa con i se e con i ma… eppure altri Paesi che la Resistenza e la conseguente guerra civile non l’hanno avuta, più o meno per lo stesso numero di anni godono di un rodato sistema democratico (pensiamo alla Germania e al Giappone). La nostra Costituzione è democratica perché è antifascista ? E se invece fosse (anche) antifascista perché è democratica ? E dunque – di conseguenza – antitotalitaria, anticomunista, antifondamentalista. In buona sostanza garantista rispetto ad un sistema di libertà che accomuna Stati ed esperienze storico-istituzionali ben lontane tra loro: dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, dalla Francia all’Australia.
Ha un senso appellarsi genericamente all’antifascismo? In realtà è storicamente necessario parlare di un antifascismo “arcobaleno”. Lo dicono le più aggiornate ricerche storiche, che identificano una Resistenza dalle molte facce: quella della guerra nazionale di liberazione (soprattutto contro l’invasore tedesco) , quella della guerra di classe (sbocco naturale – secondo i comunisti – per costruire nuovi rapporti economici e sociali) e della guerra civile (segnata dallo scontro tra italiani). Lo confermano le vicende politiche del nostro Paese, negli anni immediatamente seguenti la fase costituente, con una Dc ben più sensibile a cavalcare il pericolo comunista e un Pci che vede nella Dc il nuovo fascismo, servo del “grande capitale” e dell’imperialismo a “ stelle e strisce”.
E che dire delle violenze gratuite da parte delle formazioni partigiane ? Centinaia i sacerdoti uccisi solo per la loro Fede (tra questi il seminarista quattordicenne Rolando Rivi, ucciso da due partigiani di una Brigata Garibaldi); partigiani bianchi soppressi da quelli rossi (un esempio tra i tanti Guido Pasolini, il fratello di Pier Paolo, ucciso a Porzus insieme ad altri sedici partigiani della Brigata Osoppo, formazione di orientamento cattolico e laico-socialista, da parte di un gruppo di partigiani – in prevalenza gappisti – appartenenti al Partito Comunista Italiano); stragi ingiustificate (come quella di Schio dove, a guerra finita, il 6 e 7 luglio 1945, vennero uccise a colpi di mitraglia 54 persone, da un gruppo formato da partigiani della Divisione garibaldina “Ateo Garemi”).
Fu veramente determinate, rispetto all’economia generale della guerra, il moto resistenziale ? Piero Operti, uno che l’antifascismo l’aveva praticato per tutto il Ventennio, nel dopoguerra afferma di come sui partigiani agissero vagamente i motivi ufficialmente professati rispetto a quelli climatici e climaterici: “… il loro numero – scrive Operti – diminuiva nella stagione invernale ed aumentava in primavera, si sgonfiò dal maggio al settembre del ’44 durante l’avanzata degli Alleati dal Garigliano all’Arno e dalle coste di Normandia e di Provenza al Reno, si assottigliò all’inopinato loro arresto sull’Appennino tosco-emiliano e sul Reno, per ricrescere a dismisura dopo che la guerra fu praticamente finita, a metà di marzo, allorché gli Occidentali raggiunsero il Weser e i Russi attraversarono l’Oder”.
Evidenziare le zone d’ombre di certo antifascismo non significa – sia chiaro – non rispettare quanti morirono nel sanguinoso biennio 1943-1945. Ma, nel contempo, quando avvenne non può essere livellato sotto l’idea del “grande movimento popolare” e delle sorti e progressive del processo democratico. Renzo De Felice non a caso parlava di “lunga zona grigia” nella quale si ritrovò la maggioranza del popolo italiano in attesa della fine.
Onore dunque a quanti ventenni morirono nel nome dei propri ideali, da una parte e dell’altra (quella della Rsi), uniti – per dirla con Carlo Azeglio Ciampi – da un sentimento comune: convinti di servire l’onore della propria Patria.
Verità storica e rispetto dei caduti: sgomberato il campo dalla retorica d’occasione da qui bisogna partire per “liberare” la Liberazione dalle falsificazioni che l’hanno segnata da più di un settantennio. Solo allora il 25 aprile potrà essere riconsegnato, nella sua interezza, alla nostra Storia nazionale, finalmente emendato dalle falsificazioni e dalle strumentalizzazioni di parte. Sine ira et studio.

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