Un’altra ex grillina nella bufera: molestie ai suoi assistenti. Guerra legale tra la Moi e il Parlamento Ue
Lo scandalo è del 2018, la guerra legale si apre solo oggi. L’eurodeputata Giulia Moi, già nel Movimento Cinque Stelle, ha fatto causa al Parlamento Europeo. La politica cagliaritana, che è uscita dal Movimento ma siede tuttora nel gruppo Efdd, si è rivolta al Tribunale dell’Ue chiedendo di “annullare la decisione dell’ufficio di presidenza del Parlamento Europeo del 12 novembre 2018, con cui è stata confermata la decisione del presidente del Parlamento Europeo del 2 ottobre 2018, che commina” alla stessa Moi “la sanzione consistente nella perdita del diritto all’indennità di soggiorno per un periodo di 12 giorni per le molestie psicologiche da essa esercitate nei confronti dei suoi due assistenti parlamentari accreditati”. La Moi, secondo le accuse, avrebbe preteso dai suoi due assistenti parlamentari di occuparsi non solo di proposte di legge e interrogazioni ma anche di questioni private, come il trasloco nel nuovo appartamento, avrebbe obbligato i due collaboratori a controllare le utenze telefoniche e domestiche chiedendo di anticipare i soldi per il saldo delle fatture di luce, gas e acqua.
La Moi chiede inoltre ai giudici di Lussemburgo di condannare il Parlamento “a porre in essere una condotta riparatoria”, pagando “una somma determinata nella misura di 50mila euro, ovvero nella misura maggiore o minore ritenuta di giustizia”. Secondo la Moi, non vi sarebbe “alcuna prova” delle molestie psicologiche lamentate dagli assistenti: i fatti che l’ufficio di presidenza “assume siano stati asseriti dagli assistenti pretesamente molestati non possono configurarsi come molestie psicologiche”. A detta della ricorrente, il suo comportamento non configurerebbe “ipotesi di alcuna molestia” e “le limitate
contestazioni, anche circoscritte temporalmente ad un brevissimo periodo di tempo, sono relative all’espletamento delle mansioni da parte degli assistenti, nonché alla loro presenza in ufficio, frutto della loro ritorsione verso la ricorrente, colpevole di avere avanzato la richieste di licenziamento nei loro confronti”. Del resto, conclude l’europarlamentare, “nessun osservatore esterno, dotato di normale sensibilità ed a conoscenza del contesto lavorativo specifico dei membri del Parlamento e dei loro collaboratori diretti, potrebbe mai concludere che le condotte lamentate nei confronti della ricorrente siano eccessive e censurabili tali da ledere la personalità, dignità, integrità fisica o psichica degli assistenti in questione, anche a fronte della lauta remunerazione che il Parlamento gli ha corrisposto”.