Tav, i Cinquestelle puntano la pistola alla tempia di Di Maio: “Se sbagli, sei finito”

8 Mar 2019 11:32 - di Girolamo Fragalà

Nei loro cinturoni i Cinquestelle hanno sistemato la Tav e la tengono bene in vista.  Sono pronti a sfoderarla al momento giusto. Nonostante le apparenze, la loro intenzione non è  quella di “sparare” contro Salvini. Questa è una scusa, il fumo negli occhi. Sanno bene che sarebbero colpi a salve, per di più controproducenti dal punto di vista elettorale perché la maggioranza degli italiani è a favore dell’Alta Velocità. E i sondaggi circolano soprattutto nelle stanze di Palazzo Chigi.
La lotta No-Tav è necessaria per tener buona quella fetta di fan duri e puri rimasti ancorati al Movimento d’origine, quelli dei vaffa al mondo intero, alla casta, alle grandi opere. Quelli che si esaltavano per le nuotate di Grillo nello Stretto e per i suoi insulti teatrali in piazza. Ma la lotta No-Tav è fondamentale soprattutto per il regolamento dei conti all’interno del variegato universo pentastellato. Di Maio ne è consapevole, non avrebbe la minima intenzione di cimentarsi in un braccio di ferro con l’altro vicepremier. Deve farlo. È convinto che i suoi l’hanno messo alle corde, come se ci si trovasse di fronte alla partita della vita, o dentro o fuori, se perdi questa la Lega ci mangia e tu sei il colpevole. Si troverebbe nel pieno di un processo politico, lo accuserebbero di aver fatto la figuraccia-principe a 5 stelle, peggiore dei congiuntivi sbagliati o di Pinochet che diventa Pino di nome e Chet di cognome nell’immaginario storico grillino. Da qui i “non posso” sussurrati da Di Maio a Salvini (e riportati da molti retroscena).
«Conosco gli umori e le psicologie dei nostri – le parole dette da Francesco Silvestri, vicecapogruppo M5S alla Camera – non reggeremmo mai la partenza dei bandi, figurarsi un mezzo sì». Non a caso, proprio alcuni giorni prima aveva messo in chiaro: «Siamo sicuri di aver bisogno di quest’opera? O forse ad averne bisogno sono i soliti potentati economici che hanno interesse a lucrarci sopra?». Una posizione di chiusura totale, una sorta di avvertimento. Di Maio aveva incassato in silenzio. Per non parlare di Di Battista e la sua frase tristemente famosa: «La Tav è un’opera inutile, Salvini non rompa i coglioni o torni da Berlusconi». Infine c’è la corrente che fa capo a Roberto Fico. È quella più inamovibile, non si fida di Di Maio e avverte che non deve fare nessun tentativo di scaricare la questione sul Parlamento. Alla niente trucco, niente inganno. Il buon Giggino è avvertito. La “pistola Tav” è puntata alla sua tempia.

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