Stragi, Occidente ipocrita, Belpietro: «Quando a sparare sono gli islamici…»
Signori, «in poche parole se Brenton Terrant , il 28enne australiano che ha ucciso 49 persone, ferendone decine, ha fatto irruzioni in due moschee di Christchurch in Nuova Zelanda, la colpa è di Matteo Salvini e dei suoi discepoli, ossia di tutti quelli che in questi anni, in Italia o all’estero, hanno parlato di immigrazione, di invasione, di criminalità straniera e così via». È uno stralcio polemico dell’editoriale di Maurizio Belpietro su LaVerità, che parte da un assunto di cui non si accorge solo chi non vuol vedere o ascoltare. Dopo la strage in Nuova Zelanda la tesi non tanto paradossale indicata da Belpietro la si poteva trovare con disinvoltura su Repubblica, sul Gr1 Rai, ad Otto e mezzo su La 7 e su molti altri siti e talk show che, certo, senza fare nome e cognome del ministro dell’Interno, veicolavano l’idea che «chiunque dia spazio a tesi che non siano di accoglienza incondizionata, nei confronti degli extracomunitari sta dalla parte dell’assassino. Anzi: fomenta gli assassini -scrive Belpietro- perché ne agita le menti, dando loro copertura ideologica, motivazioni per agire e per sentirsi minacciati. In una parola: complici». Insomma, Nuova Zelanda chiama Roma, per la precisione il Viminale.
Quando a sparare sono gli islamici
Ma non è tanto Salvini il problema che Belpietro ha inteso focalizzare. Il titolo dell’editoriale – “L’Occidente condanna i propri bastardi, ma a parti rovesciate ha sempre balbettato”- vuole cogliere con coraggio una verità, anche questa sotto gli occhi di tutti quelli che con onestà intellettuale vadano a rileggersi le parole caute – a dire poco- con cui «di fronte ad altre stragi, quelle commesse in nome di Allah, spiegavano a più riprese che non si può fare di tutta un’erba un fascio e che è necessario fare distinzioni precise», scrive il direttore de LaVerità . Ecco, a parti invertite, quando a saltare in aria sono i nostri giovani occidentali a Parigi, Londra, Madrid, tra i mercatini di Natale a Strasburgo, o nelle cittadine tedesche, sul lungomare di Nizza, guai a parlare di terrorismo islamico, «associando una pur vaga motivazione religiosa agli omicidi». «Si rischia di criminalizzare un’intera comunità di fedeli».
Prudenza verbale, due pesi e due misure
Ecco le distinzioni minute e caute che intervengono “a parti invertite”: quelli che oggi intendono dimostrare il teorema che sono Salvini e i suoi seguaci ad “armare la mano” al criminale delle due moschee neozelandesi, sono gli stessi «che invocavano prudenza e scongiuravano colleghi e politici , invitandoli a maneggiare con cura le parole.….al punto che per evitare confusione decisero di rimuoere dai loro articoli perfino l’associazione fra terroristi e islamici, preferendo il neologismo islamista». All’anima delle prudenza. Adesso, con il caso del terrorista australiano, la stessa cura filologica delle parole non conta più un fico secco e appioppare responsabilità “morali” a chi parla di immigrazione e criminalità è un’ equazione usata con disinvolta faziosità. Farlo «è una colpa», scrive Belpietro. «come se non esistessero allarmi e preoccupazioni e le carceri fossero piene di extracounitari a causa dei discorsi di Salvini e non dei reati che questi detenuti hanno commesso». «Nessuno ha intenzione di minimizzare la strage di Christchurch – conclude – ma tentare di strumentalizzare cinicamente gli assassinii è un’altra cosa».