Strage di Bologna, pista palestinese: con chi si incontrò Abu Saleh con la “benedizione” dei giudici?

1 Mar 2019 10:30 - di Massimiliano Mazzanti
Strage Bologna

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo, Caro direttore,

qualcuno dirà e, tra questi, certamente Paolo Bolognesi: sono cose già note. E avrebbe pure ragione, se non fosse che tra le tante “cose note” del lungo iter investigativo e processuale per la Strage di Bologna, molte persistono a restare inspiegate e inspiegabili. Sì è già detto come, nelle settimane scorse, è stata nuovamente rigettata la richieste di fare luce sulle documentazioni eventualmente esistenti negli archivi dei servizi segreti, più o meno “segreti”, circa il “lodo Moro” e le possibili implicazioni di quell’accordo nella catena di eventi che portò all’attentato nel capoluogo emiliano. Si è anche precisato come la Corte d’appello abbia ritenuto la richiesta dei difensori di Gilberto Cavallini, respingendola, generica, troppo vaga per essere esplorata. È, dunque, il caso di chiarire cosa si potrebbe cercare, tra le carte giacenti in qualche polveroso e dimenticato cassetto di qualche ministero, di qualche comando, se non addirittura dello stesso Tribunale di Bologna.

Quel fonogramma del 10 settembre del 1981

Per esempio, qualcuno potrebbe farsi carico di gettare un po’ di luce su un fonogramma firmato dall’allora giudice istruttore di Bologna, Gentile, giudice istruttore impegnato nella prima inchiesta sulla strage alla stazione, il 10 settembre 1981. Un testo che fu oggetto, qualche anno or sono, anche di un interrogazione parlamentare, primo firmatario Enzo Raisi allora di Alleanza nazionale, rimasta sostanzialmente senza risposta, nel senso che il rappresentante del governo chiamato a rispondere al deputato disse che non si riusciva a trovare nulla che spiegasse i contenuti di quel fonogramma. All’epoca dell’interrogazione di Raisi, per essere completi nell’informazione, erano ancora in vigore quei vincoli di segretezza che sono recentemente caduti una volta per tutti; vincoli dai quali, magari, dipese l’impossibilità per il rappresentante del governo di fornire un’adeguata ed esauriente risposta al parlamentare. Di quale fonogramma si sta parlando? Di quello con cui il giudiceistruttore che indagava sulla Strage di Bologna chiede ai colleghi de L’Aquila di permettere ad Abu Anzeh Saleh di recarsi a Roma per sei giorni, dal 15 al 21 settembre del 1991, in deroga all’obbligo di dimora a Bologna al quale il terrorista giordano-palestinese era tenuto, <ai fini procedimento relativo attentato stazione ferroviaria Bologna>.

Dunque, ben prima che la così detta <pista palestinese> diventasse oggetto di attenzioni politiche e giornalistiche; vent’anni prima che si scoprisse la presenza di Thomas Kram a Bologna il giorno dell’attentato; ben prima di tante altre cose su cui sono stati versati fiumi d’inchiostro, ai magistrati petroniani impegnati direttamente nelle indagini sull’attentato era noto – e proprio in relazione all’attentato – il nome di Saleh. Perché? In quale contesto? All’interno di quale cornice investigativa? Domande attualmente inutili, dato che il governo, come si è detto, disse a Raisi di non essere riuscito a reperire alcuna ulteriore traccia di quella sosta di sei giorni a Roma di Saleh: con chi s’incontrò? Con chi parlò della strage? In che termini lo fece? E ancora: il giudice Gentile ebbe un rapporto, dei verbali di questi incontri? Li chiese almeno, visto che era il titolare delle indagini e aveva dato lui l’autorizzazione ai misteriosi colloqui? Tra le svariate centinaia di migliaia di pagine che compongono il “falcone” del processo 2 agosto, non c’è traccia di tutto ciò. Saleh fu mandato a Roma a parlare della Strage di Bologna, con la “benedizione” dei giudici del capoluogo emiliano, ma non è dato sapere con chi, perché e in quali termini. Eppur – parafrasando lo scienziato – si mosse. E a Roma, come testimonia ancor oggi la sua agenda appena acquisita nella disponibilità dei difensori di Cavallini, Saleh aveva tanti amici, a partire dal colonnello Stefano Giovannone, il “grande architetto” del “lodo Moro”. Non è abbastanza precisa – come pretende il rito penale – questa indicazione investigativa? Non è sufficientemente pertinente, dato il coinvolgimento del primo giudice istruttore del processo per la Strage? Parrebbe di sì…

 

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