Processo sulla strage del 2 agosto 1980, Cavallini teme pressioni indebite sul perito

6 Mar 2019 18:40 - di Massimiliano Mazzanti
Strage di Bologna

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

Nella solita concitata volontà di far apparire negativamente l’imputato, qualche quotidiano “on line” titola che Gilberto Cavallini, che ha concluso oggi la sua deposizione davanti alla Corte d’Assise di Bologna, avrebbe espresso parere negativo circa la riesumazione dei poveri resti mortali di Maria Fresu, la più “misteriosa” delle vittime del 2 agosto 1980. Al contrario, leggendo una dichiarazione spontanea che ha pure messo a disposizione dei cronisti al termine dell’udienza, l’ex-Nar ha stigmatizzato proprio il duro attacco con cui Paolo Bolognesi, ex-parlamentare del Pd e presidente dell’Associazione familiari e vittime della Strage di Bologna, ha commentato nei giorni scorsi la richiesta del perito esplosivista del Tribunale, Danilo Coppe, di analizzare ciò che resta della vittima che si sarebbe incredibilmente e incomprensibilmente dissolta nell’attentato di 38 anni or sono. Insomma, il contrario esatto di ciò che ha detto Cavallini, viene riportato da alcuni giornali. E non si tratta tanto e solo di un modo diverso di vedere le cose, quello che distanzia sul punto parti civili e imputato: Cavallini – lungi dal criticare Coppe per la richiesta – ha denunciato proprio le pressioni mediatiche che questi sta subendo a causa della sua intenzione di appurare fino in fondo la verità sul punto, temendo che il perito o desista dalle sue intenzioni o non venga messo in condizioni di operare serenamente. <Credo che il presidente dell’associazione oltre a rispettare le decisioni della Corte dovrebbe essere interamente votato alla ricerca della verità della strage del 2 agosto – così ha concluso Cavallini la sua dichiarazione spontanea -, qualunque essa sia, invece di preoccuparsi soltanto che possa crollare il castello di accuse costruito per arrivare alla condanna di tre innocenti>.

Per il resto, la seduta di oggi, dopo quasi un mese di sospensione delle udienze, è stata caraterizzata da un pacato, ma non meno profondo battibecco tra l’imputato e il presidente della Corte, Michele Leoni, circa l’insistenza del primo a non voler rivelare il nome della persona che si sarebbe incontrata a Padova con lui, la fatidica mattina del 2 agosto 1980. Leoni è tornato più volte sul punto, ribadendo come oggi questa persona, quale che fosse la ragione dell’appuntamento, non avrebbe nulla da temere nel presentarsi davanti ai giudici e come lo stesso Cavallini perda di <credibilità> se, da una parte, dice di essersi sottoposto all’interrogatorio per contribuire alla ricerca della verità; mentre, dall’altra, insiste nel tacere sull’identità del suo contatto padovano di quella tragica mattina. Cavallini, ribadendo quanto già detto nelle due sedute precedenti, ha risposto al presidente della Corte, facendo notare che il misterioso “sub” di cui tanto si parla, ammesso che sia ancora vivo, se si presentasse a Bologna perché chiamato in causa da lui stesso, imputato, per scagionarsi, potrebbe benissimo smentirlo, anche solo per non entrare in questo “tritacarne” giudiziario; oppure semplicemente non essere creduto. Per altro, la sua testimonianza non avvalorerebbe, a 38 anni di distanza, né una tesi né quella opposta, sarebbe solo un’inutile esposizione di un soggetto che, all’epoca, gli fece un favore e che oggi certo non vuole, Cavallini, ripagare con una penosa sosta alla stazione della “via crucis” processuale.

Per altro, Leoni tradisce un atteggiamento che sconfina nel malizioso, quando insiste a sottolineare che il “sub”, a svelare la sua identità, non rischierebbe nulla. Certo, i reati eventualmente commessi nel 1980 sarebbero certo prescritti – anche se potrebbero essere oggetto comunque di “approfondimento”, cioè di indagini e, di conseguenza, di “grane”, come si dice in gergo -, ma ci si potrebbe pure scommettere, circa il fatto che l’uomo, sedendo davanti ai giudici, si sentirebbe in primo luogo rimproverare sul fatto di non essersi mai appalesato prima; di risultare di conseguenza poco credibile qualsiasi cosa dica; di essere passibile, soprattutto se il suo ricordo non fosse nitidissimo e in particolare, nell’imprecisione, favorevole all’imputato, di una denuncia per falsa testimonianza. Leoni, infatti, sembra scordare i suoi stessi ammonimenti e le sue stesse annunciate intenzioni a procedere contro Stefano Sparti, figlio di Massimo, colpevole ai suoi occhi di aver scambiato il 3 col 2 agosto nei suoi ricordi di undicenne. Svelare l’identità di “sub”, insomma, sarebbe inutile ai fini difensivi e pericoloso per l’interessato e questo chiarisce ampiamente l’ostinazione di Cavallini, mentre getta un’ombra sull’atteggiamento di chi vorrebbe per forza vederlo fare una scelta differente, dando la sensazione di un pregiudizio di colpevolezza che non sarebbe consono al rito che si sta celebrando.

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