Palestinesi minacciati dai loro leader: guai a voi se andate nel supermercato degli ebrei
Mentre in Italia si discute e ci si divide se aprire o non aprire i centri commerciali la domenica e i festivi, in Israele succede molto peggio. La nuova “guerra santa” dei palestinesi adesso è contro un supermercato di Gerusalemme Est. La storia è raccontata dal Gatestone Institute da un giornalista arabo musulmano, Bassam Tawil. In pratica, un imprenditore israeliano Rami Levy, che possiede una importante catena di supermercati in Israele, ha “osato” aprire a Gerusalemme Est (che per i palestinesi è un territorio occupato) un centro commerciale, i cui dipendenti sono per la maggior parte arabi così come i clienti. Al Fatah, considerata la fazione “moderata” dei palestinesi, guidata da Mahmud Abbas, ha invitato la popolazione – racconta il Gatestone Institute – addirittura a boicottare il supermercato. L’apertura del centro è stata definita dai leader di al Fatah “nakba”, ossia una “catastrofe”. Il centro in verità reca vantaggi enormi soprattutto ai palestinesi, non solo perché molti di loro ci lavorano ma anche perché i prezzi sono competitivi, inferiori anche a quelli dei negozi di proprietà araba. Siamo di fronte a un ennesimo esempio della cecità della leadership palestinese che davvero non ha intenzione di trovare una convivenza con gli israeliani, anche perché in un altro centro commerciale Levy, a nord est di Gerusalemme, molti palestinesi hanno affittato negozi nonostante la contrarietà dei loro leader, e a quanto pare gli affari funzionano e la convivenza anche. La politica dell’odio e dell’intransigenza fin qui perseguita da parte palestinese non paga, perché il giorno dell’inaugurazione del supermercato di Gerusalemme Est, avvenuta in gennaio, moltissimi palestinesi sono andati in massa a fare acquisti da Levy. E’ anche vero che quel giorno, dopo minacce che andavano avanti da mesi, estremisti palestinesi hanno lanciato bombe incendiarie contro il negozio, ma per fortuna non vi sono stati feriti. Va detto anche, racconta l’articolo, che i supermercati degli israeliani assumono senza problemi manodopera palestinese, stanca evidentemente di campare solo con gli aiuti internazionali. Ma poi, si fa notare in Israele, se i palestinesi non volevano un supermercato Levy, perché nessun imprenditore arabo ha aperto un analogo esercizio? Oggi metà dei dipendenti della Levy sono palestinesi, il primo fu assunto nel 1976, e molti di essi oggi ricoprono posizioni dirigenziali. Tutti i dipendenti, arabi ed ebrei, sono trattati allo stesso modo, e le retribuzioni vanno solo in base alla posizione ricoperta e all’efficienza, dice ancora l’articolo di Bassam Tawil. Certo, se la dirigenza palestinese non tollera che il proprio popolo possa comprare a migliore prezzo e addirittura trovare un lavoro solo perché gli imprenditori sono ebrei, ci sono davvero poche speranze per il raggiungimento della pace duratura. La leadership palestinese ha accusato Israele di voler minare il commercio arabo a Gerusalemme e renderlo succube dell’economia israeliana. Qualcuno è arrivato anche a dire che il palestinese che compra da un israeliano è un traditore della patria perché sostiene l’entità sionista. Ma il vero nodo della questione, peraltro notato anche da parte palestinese, è la carenza di coraggio da parte dell’imprenditoria araba locale: se avessero presentato un progetto palestinese di centro commerciale, è indubbio che avrebbe avuto la precedenza su Levy, ma così non è stato. A quanto pare i ricchi palestinesi preferiscono investire il loro denaro altrove, come se non avessero fiducia nella propria gente. Conclude l’articolo del Gatestone Institute: se Abbas, Fatah e i suoi non riescono a tollerare che un palestinese compri un litro di latte in un negozio israeliano, se non riesce a tollerare che un palestinese si guadagni lo stipendio lavorando per un israeliano, come potrebbero mai sofrzarsi di raggiungere un accordo e una convivenza duratura?
Percher questi bugie, 5 settimana manifestazione nessun ferito nessun arrestato 20 milioni di manifestanti in Algeria
Questo interessantissimo articolo non fa altro che ribadire per l’ennesima volta quello che è già assodato: la corrotta dirigenza palestinese non ha nessuna volontà di arrivare ad una pace con Israele anzi vuole spazzare via tutti gli israeliani e cancellarne ogni traccia. La dirigenza palestinese dovrebbe impiegare i milioni di dollari ricevuti dalla comunità internazionale nel migliorare la vita dei palestinesi, non di migliorarne solo e sempre la sua e di sostenere economicamente i terroristi o le famiglie dei “martiri”. Viva la vita! Viva Israele!