Imane Fadil, interrogato il direttore dell’Humanitas. Alta presenza di metalli
I magistrati milanesi che indagano sulla morte della modella marocchina Fadil Imane, la testimone nel processo Ruby morta, forse per avvelenamento, dopo circa un mese di agonia, il 1° marzo scorso nel presso la clinica milanese Humanitas dov’era ricoverata da fine gennaio stanno ascoltando in queste ore, come persona informata sui fatti, quindi senza l’assistenza di un legale, il dottor Michele Lagioia, direttore sanitario della struttura sanitaria dove la ragazza è deceduta.
Lagioia viene ascoltato sulla misteriosa morte della modella trentaquattrenne dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Luca Gaglio, titolari del fascicolo aperto dalla Procura di Milano che ha una lunga lista di testimoni da ascoltare nei prossimi giorni per fare luce su una vicenda dai contorni poco chiari visti anche i risultati degli esami svolti da un centro specializzato e recapitati agli uffici giudiziari, esami che parlano di presenza di radioattività sul corpo di Imane Fadil e di alte percentuali di metalli pesanti.
Nel sangue di Imane Fadil, infatti, era presente un’alta concentrazione di alcuni metalli, in particolare il cadmio e l’antimonio, come ha rivelato il procuratore capo di Milano Francesco Greco sottolineando che l’antimonio era presente con un valore di quasi tre volte superiore e il cadmio urinario di quasi sette volte superiore il range normale.
Ma, avverte il pm di Milano, Luca Gaglio, «la presenza di metalli pesanti nel sangue e nelle urine del corpo senza vita di Imane Fadil, testimone chiave dei processi Ruby, non è sufficiente per stabilire la causa del decesso, né per determinare – al momento – la presenza di eventuali elementi radioattivi nel corpo della giovane ex-modella: «Ci sono dei metalli, ma non si conosce l’isotopo».
Dalle analisi è emersa la presenza di alcuni metalli pesanti: l’antimonio ha dato «a un esame sommario su campioni di sangue già lavato» un risultato di 3 (valori nella norma 0,02 a 0,22), cadmio urinario di 7 (forbice 0,1-0,9), molibdeno elevano, cromo al 2,6 (0,1-0,5)”, parametri che di per sé nulla dicono sulla pericolosità degli elementi stessi fino a quando non si conoscerà il valore dell’eventuale radioattività dei metalli che «si fissano sulle ossa» o su organi «come fegato e reni».
I risultati sono attesi a giorni, solo dopo – tra giovedì e venerdì – ci sarà l’autopsia che sarà eseguita da un pool di esperti guidati dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, insieme al Nucleo radiologico e batteriologico dei vigili del fuoco, per far luce sulle cause del decesso.
Nessun rischio all’interno dell’Humanitas in cui Fadil è stata ricoverata dal 29 gennaio al 1 marzo (giorno della morte) – «i controlli in ospedale con il contatore Geiger (che misura le radiazioni di tipo ionizzante, ndr) ha dato esito negativo», spiega il procuratore capo Francesco Greco – maggiori precauzioni, invece, vanno assunte per chi eseguirà l’autopsia, anche se il rischio è che eventuali sostanze pericolose siano già decadute visto il tempo trascorso.
Resta il fatto che sul fascicolo dell’Obitorio di Milano dove si trova tuttora il corpo di Imane Fadil, in attesa che si proceda all’autopsia, i dipendenti del Comune di Milano hanno apposto la scritta, così come chiesto dalla Procura di Milano «Non farla vedere a nessuno», nemmeno ad amici e parenti, proprio nel timore che possa risultare contaminata.
Gli esami avevano cercato di appurare la presenza tanto di veleni come l’arsenico – di cui non è stata trovata traccia dai laboratori del Centro Antiveleni Niguarda – quanto la possibilità di una malattia infettiva batterica come la leptospirosi giacché Imane Fadil aveva sostenuto di essere costretta, per mancanza di soldi, a vivere in mezzo ai topi.
Era stata la stessa Imane Fadil a dire al suo legale e al fratello, di essere stata avvelenata. L’avvocato della modella marocchina aveva comunicato quindi alla Procura di Milano, che non era stata avvisata dalla clinica Humanitas del decesso di Imane Fadil, la strana circostanza della morte della ragazza. E, da lì, erano scattati gli accertamenti e l’apertura di un’inchiesta per omicidio volontario.
«Come confermato dall’Humanitas non c’è stata nessuna comunicazione alla Procura o alla polizia prima della morte di Imane Fadil. La conferma ufficiale arriva anche dallo stesso direttore sanitario, chi dice il contrario dice una fake news», ribadisce il procuratore capo di Milano Francesco Greco che, affiancato dai pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio ha cercato di precisare alcuni elementi al centro del fascicolo aperto contro ignoti per omicidio volontario.
Il procuratore ribadisce di essere stato informato del decesso dall’avvocato della giovane marocchina, così nel giorno della morte (1 marzo scorso) «la Procura ha anticipato la comunicazione del Humanitas». E a chi gli chiede se la struttura ospedaliera avesse dovuto comunicare il sospetto avvelenamento, Greco replica con un secco «No comment».