Il grido d’allarme dei diplomatici. Parla Francesco De Luigi: lo Stato investe poco, le nostre imprese ci rimettono
Francesco De Luigi è il presidente del Sndmae, il sindacato dei diplomatici italiani, e in occasione della visita in Italia del presidente cinese Xi Jiinping ci tiene a sottolineare un elemento a suo avviso fondamentale per la categoria dei diplomatici: l’Italia non è attrezzata per raccogliere a pieno la sfida della globalizzazione e trascura gli investimenti sulla rete di ambasciate e consolati che possono fare da supporto essenziale alla promozione delle nostre imprese all’estero.
“Partiamo da un dato – dice De Luigi – e cioè il fatto che le risorse destinate al funzionamento delle ambasciate rappresentano lo 0,09 del Pil. Una cifra irrisoria che ci rende poco competitivi, nonostante l’innegabile bravura dei nostri diplomatici”. Ambasciate e consolati sorreggono la nostra presenza, anche economica, nel mondo e con le scarse risorse a disposizione non reggono il confronto con Paesi come la Francia e la Germania. “Il nostro organico – lamenta – si colloca in mezzo tra Olanda e Portogallo…”.
De Luigi parte dal presupposto che il diplomatico è anche un produttore di business: “Con la globalizzazione, e quindi la crescita della presenza di imprese e cittadini italiani all’estero, è aumentato il fabbisogno di diplomazia, in particolare di quella economica. I nostri diplomatici sono essenziali per supportare la rete di piccole e medie imprese che costituisce l’ossatura dell’economia italiana. Noi invece soffriamo una visione alterata della globalizzazione che ci induce a vederne solo gli aspetti finanziari. Invece l’export è vitale soprattutto in fasi di complessità geopolitica come quella attuale”.
Ottimo, in definitiva, il lavoro fatto dai diplomatici italiani a Pechino ma senza una visione strategica e aggiornata della missione dei nostri diplomatici nel mondo l’Italia resterà sempre in seconda o terza fila rispetto a nazioni più attrezzate e più consapevoli del nuovo ruolo che le ambasciate e i consolati vanno a ricoprire nell’economia globalizzata.
“Bisogna tenere presente – conclude De Luigi – che secondo studi effettuati dalla Cgia di Mestre ogni euro speso per la Farnesina ha un ritorno sul Pil italiano pari a venti volte l’investimento effettuato. L’Italia non può più permettersi di non avere una diplomazia aziendale, che deve puntare molto anche sui nostri connazionali all’estero”.