Crisi d’impresa, colpo basso agli artigiani col nuovo codice: rischiano anche penalmente

15 Mar 2019 13:37 - di Redazione

La riforma sulla crisi d’impresa obbligherà tra breve molte imprese artigiane (quelle che hanno fino dieci dipendenti) a dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato a rilevare tempestivamente la crisi dell’impresa e la perdita della continuità aziendale. L’applicazione pratica di questo diktat, nato dai decreti attuativi della legge 155/2017, obbliga anche le imprese più piccole a sostenere nuovi costi di gestione mentre le stesse dovrebbero essere adeguatamente sostenute. Inoltre il mancato adeguamento può avere anche conseguenze penali in quanto gli amministratori e i sindaci revisori potranno essere considerati concorrenti, per omissione, negli episodi di bancarotta societaria.

Si tratta di un vero e proprio colpo basso alle  micro-imprese, infatti prima dell’introduzione delle nuove norme l’obbligo di nominare un revisore dei conti era rivolto alle imprese che possedevano due su tre dei seguenti requisiti: attivo in stato patrimoniale per 4.000.000, fatturato da 4.000.000, limite minimo di 50 dipendenti. Con le nuove procedure si impone anche alle piccolissime imprese (il limite è di 10 dipendenti ) di nominare un collegio sindacale o del revisore. Avviene dunque che, al di là delle finalità positive del nuovo impianto giuridico, teso a garantire una gestione più oculata delle imprese per metterle al riparo dalle crisi finanziarie, le norme si traducono in nuovi adempimenti burocratici e costi aggiuntivi per le imprese.

 

 

 

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