Corruzione M5S, l’ala dura contro Di Maio: togliamo il simbolo a Virginia Raggi

22 Mar 2019 12:00 - di Valeria Gelsi

L’indagine per corruzione nei confronti dell’assessore Daniele Frongia, fedelissimo di Virginia Raggi, non conta, perché «si va verso un’archiviazione». La stessa Raggi, nonostante i guai pregressi per i casi Marra e Romeo, è al di sopra di ogni sospetto. Del resto lei «e questo Marcello De Vito non si vedevano di buon occhio» e quindi «conoscendo Virginia, l’avrebbe mandato a quel paese», mica come gli altri due che assursero a braccio destro e sinistro. Il M5S, poi, ha avuto «una reazione esemplare» cacciando subito De Vito e quindi può «camminare a testa alta». De Vito, infine, che ne parliamo a fare: è un caso più unico che raro. Ospite di Agorà, su Rai 3, di fronte agli arresti e alle indagini per corruzione che hanno colpito i notabili pentastellati capitolini, Luigi Di Maio autoassolve il Movimento su tutta la linea. E assicura, «non vedo il caso Roma, vedo il caso De Vito. La Giunta deve andare avanti per portare a casa una missione difficilissima, mettere a posto la città di Roma».

Quelli che tifano per la “caduta di Roma”

In realtà, il terremoto che ha colpito maggioranza e giunta capitolina non solo rappresenta un «caso Roma», ma è un caso nazionale. Un disastro giudiziario che sta travolgendo il partito, dove ormai più o meno apertamente c’è chi tifa per la caduta della giunta Raggi. Perché, come riporta un retroscena di Repubblica, si arrivi per la cara Virginia a quello che Di Maio ha prefigurato per «tutti coloro che si comportano fuori dai nostri valori o addirittura violano la legge»: la revoca del simbolo e, all’occorrenza, anche l’allontanamento dal partito. E, d’altra parte, Raggi è già stata a un passo dal vedersi togliere il logo, proprio quando esplosero gli scandali Marra e Romeo, con le loro promozioni opache e polizze a sua insaputa. «Prima Marra, poi Lanzalone, ora De Vito. Questi episodi di illegalità vanno prevenuti. I fondatori avevano previsto presidi organizzativi, purtroppo smantellati, fondati su condivisione e trasparenza», ha commentato la presidente della Commissione finanze Carla Ruocco, esponente di quel fronte che, vuoi per la guerra interna, vuoi per buon senso, si rende conto che la botta è troppo forte per pensare di reggerla con una passata di intonaco. Sotto accusa, dunque, finisce anche Di Maio, il capo politico che va in giro a dire che quello che accade è poca cosa, puntellando la sua tesi con l’espulsione di De Vito. Atto che, per altro, sarebbe anche illegittimo, perché secondo lo statuto il capo politico non può espellere nessuno. Ergo, De Vito è ancora dentro.

L’autoassoluzione di Di Maio divide il M5S

Non solo, benché la diretta interessata si difenda con le unghie e con i denti, anche su Roberta Lombardi si appiccica il sospetto di illeciti: secondo gli inquirenti, parte dei soldi che De Vito avrebbe avuto da Parnasi sarebbero andati a finanziare la campagna elettorale della capo corrente laziale, quando correva per la carica di governatore del Lazio. Nell’informativa dei carabinieri si parla di «elementi che permettono di affermare che il presidente del consiglio comunale, Marcello De Vito, ha chiesto e ottenuto a Parnasi un supporto per la campagna elettorale di Roberta Lombardi». Lei nega con tutta la forza di cui è capace, ma la sensazione è che nessun pentastellato possa dirsi, anche solo politicamente, al riparo da questa storia. Ed è una sensazione che circola tanto nell’opinione pubblica, quanto all’interno dello stesso M5S. Con buona pace delle autoassoluzioni di Di Maio.

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