Copyright, il Parlamento Ue approva la riforma. Ecco cosa cambia per i colossi del web e per i “navigatori”

26 Mar 2019 13:39 - di Robert Perdicchi

Il Parlamento Europeo ha approvato poco fa, in sessione plenaria a Strasburgo, la nuova direttiva Ue sul diritto d’autore. «Il testo è approvato», ha annunciato il presidente dell’Aula Antonio Tajani. La riforma del copyright è passata alla presenza di 658 europarlamentari, con 348 voti a favore, 274 contrari e 36 astenuti. In precedenza l’Aula ha respinto la proposta di 38 eurodeputati di riaprire il testo, votando gli emendamenti che erano stati depositati. Le nuove norme consentiranno a creatori ed editori di notizie di negoziare un equo compenso con i giganti del web. YouTube, Facebook e Google News  dovranno condividere i loro ricavi con i titolari dei diritti (come musicisti, artisti, interpreti e sceneggiatori, editori di notizie, giornalisti).

La Commissione, dopo una serie di consultazioni, tre anni anni fa aveva deciso che il quadro legislativo Ue doveva essere modernizzato e ha pertanto proposto un pacchetto di norme nel settembre 2016, tra le quali anche la direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale. Il dibattito si è concentrato essenzialmente su tre questioni: la creazione di un nuovo diritto che consentisse agli editori di pubblicazioni giornalistiche di ottenere un compenso per l’utilizzo digitale dei loro articoli (il vecchio articolo 11, ora articolo 15); l’imposizione alle piattaforme on line come Youtube di misure atte a monitorare i contenuti, al fine di tutelare la remunerazione del diritto d’autore (il vecchio articolo 13, ora diventato articolo 17); la creazione di una nuova eccezione sul copyright per consentire l’utilizzo di tecniche di ‘text and data mining’ nell’Ue. La normativa precedente, all’articolo 5 della direttiva in vigore sul copyright, permetteva l’uso di opere protette da diritto d’autore per alcuni scopi senza la previa autorizzazione dell’autore o di altri aventi diritto. Tuttavia, la lista delle eccezioni non era obbligatoria, bensì opzionale: ciò comportava che gli Stati membri possono decidere in autonomia quali eccezioni e limitazioni prevedere.

Questo stato di cose, secondo la Commissione Ue, metteva in pericolo la sostenibilità dell’intera industria editoriale, che investe nella produzione e nella pubblicazione di contenuti, ma che non riceve più, in cambio, un flusso di ricavi adeguato.  Due i punti crucuali della direttiva: viene introdotto, con l’articolo 15, un nuovo diritto per gli editori: finora il copyright protegge i lavori letterari, scientifici o artistici; concede anche ai produttori di film e alle emittenti dei diritti di vicinato, o diritti ancillari, che remunerano il loro contributo economico e creativo per assemblare, editare e investire in contenuti.

Tuttavia, oggi come oggi non esiste alcun diritto simile per gli editori di pubblicazioni giornalistiche: per rimediare, la direttiva introduce nelle leggi Ue un nuovo diritto connesso, che consente agli editori di tutelare con il copyright anche le pubblicazioni giornalistiche. Gli editori hanno così un diritto connesso esclusivo per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni che durerà 20 anni e riguarderebbe esclusivamente le pubblicazioni giornalistiche, come i quotidiani e i settimanali, ma escludendo le riviste scientifiche ed accademiche.

Altro punto controverso è l’articolo 17, con il quale la direttiva rafforza la posizione dei titolari dei diritti perché possano negoziare e ottenere una giusta remunerazione per lo sfruttamento on line dei contenuti protetti da copyright sulle piattaforme di condivisione video. In pratica, chi custodisce e rende accessibili al pubblico “grandi quantità di opere caricate dagli utenti” dovrebbe adottare misure appropriate e proporzionate per assicurare il corretto funzionamento degli accordi stipulati con i titolari dei diritti, al fine di rilevare e rimuovere i contenuti protetti da copyright ‘uploadati’ dagli utenti, e rimuoverli se è il caso. Questo obbligo si applica a prescindere dalla circostanza se il provider in questione benefici o meno dell’esenzione prevista dalla direttiva sul commercio elettronico. La legge Ue impedisce ai fornitori di servizi di effettuare un monitoraggio generale dei contenuti, in virtù della Carta europea dei diritti fondamentali. Tuttavia, le piattaforme effettuano regolarmente controlli utilizzando tecnologie di riconoscimento dei contenuti, su richiesta degli aventi diritto o dietro ingiunzioni dei tribunali. La direttiva chiede anche agli editori una maggiore trasparenza: dovranno informare regolarmente gli autori dello sfruttamento del loro lavoro.

Per gli oppositori alla direttiva, si tratta di un attacco pesante alla libera circolazione sul web, un bavaglio all’informazione a un danno alle piccole testate, oltre che, ovviamente, una “mazzata” peri grandi colossi.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *