Arresto De Vito, Mezzacapo intercettato: «i politici ce li abbiamo, ce li abbiamo»

21 Mar 2019 13:18 - di Paolo Lami
MARCELLO DE VITO E LE ARANCE IN CAMPIDOGLIO: ora è in carcere a Regina Coeli per le tangenti che avrebbe preso

Nega di aver intascato tangenti sostenendo che quei soldi sono, in realtà, compensi per attività professionali, così come nega di aver “società-cassaforte” assieme al suo collega di studio, il grillino Marcello De Vito, presidente del Consiglio comunale di Roma ma le intercettazioni che emergono forniscono un quadro devastante sulla figura dell’avvocato Camillo Mezzacapo finito agli arresti assieme all’amico e politico cinquestelle nell’ambito di uno dei filoni dell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma di cui si sta occupando la Procura di Roma.

«I politici ce li abbiamo, ce li abbiamo», si sente dire nelle intercettazioni che compare nell’ordinanza di ieri, firmata dal gip Maria Paola Tomaselli, che ha portato in carcere De Vito e l’avvocato da Camillo Mezzacapo che rassicura così l’architetto Fortunato Pititto, legato all’imprenditore Statuto e finito agli arresti domiciliari.

Il progetto in questione di cui i due discutevano al telefono senza sapere di esseere intercettati riguarda la costruzione di un albergo presso l’ex-stazione ferroviaria di Roma Trastevere. E Mezzacapo rassicura Pititto in merito al «buon esito dell’operazione»: «c’è interesse a farlo», afferma Mezzacapo ricordandogli «l’autorevolezza della personalità politica».
Il legale arrestato ieri sollecita Pititto a «rinnovargli il mandato ed inviargli l’acconto e pure un po’ di strumenti per operare». E Pititto conclude: «okok».

«Non ho percepito nessuna tangente, ma solo compensi per attività professionali – avrebbe contestato Camillo Mezzacapo rispondendo alle domande del gip di Roma nel corso dell’interrogatorio che si è svolto stamattina al carcere di Regina Coeli dove il legale si trova detenuto – Curavo operazioni e transazioni che si svolgono di norma nella Pubblica amministrazione».

Così, almeno, ha raccontato, il suo difensore, Francesco Petrelli, al termine dell’interrogatorio annunciando ricorso al Riesame e sostenendo che «ha risposto alle domande e ha chiarito ogni aspetto. Ha spiegato solo di aver svolto attività professionali che nulla avevano a che fare con l’attività politica di De Vito. Ha chiarito, inoltre, che la Mdl non è una “società cassaforte” e non è in alcun modo riconducibile a Marcello De Vito».

Per il gip romano che ha firmato gli arresti, tuttavia, non sembrano esserci dubbi. Parla di «grave fenomeno corruttivo che si è realizzato ai vertici di Roma Capitale» sottolineando due visioni della vicenda, «quella del privato e quella del pubblico funzionario solo apparentemente opposte ma in realtà uguali e convergenti».

«Solo un’analisi complessiva – spiega nell’ordinanza il gip – consente di apprezzare la effettiva gravità delle condotte ed il contesto relazionale estremamente articolato nel quale le stesse si realizzano. Quel che appare agli occhi dell’osservatore – scrive il magistrato – ancor prima che del giudice è un quadro desolante in cui sia il privato che il pubblico ufficiale si ritengono centrali percependo quanto altro da sé come meramente strumentale alla realizzazione dei propri interessi e del proprio profitto il cui conseguimento essi perseguono nella piena consapevolezza della illiceità dei loro comportamenti».

Parole che pesano come macigni sull’immagine del politico cinquestelle Marcello De Vito. Che amava farsi riprendere con le arance sulla scrivania, simbolo del carcere e della lotta alla corruzione. E che oggi, durante l’interrogatorio di garanzia a Regina Coeli, si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del gip.

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