2 agosto ’80, la Procura potrebbe “incastrare” anche Massimo Palanca?
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Le foto che accompagnano l’articolo sono da giorni ripetutamente pubblicate dai quotidiani bolognesi ed emiliani, dovendo dimostrare che Paolo Bellini – personaggio dalla vita controversa, equivoca, prima criminale e poi da “collaboratore di giustizia” – sarebbe stato in qualche modo coinvolto nella Strage di Bologna. Procura generale e parti civili non hanno dubbi: l’uomo ritratto da un video amatoriale il 2 agosto alla stazione di Bologna, ritratto mentre dà una mano a soccorrere i feriti, a rimuovere le macerie, sarebbe, in realtà Bellini, cioè, uno degli attentatori. Certo, la somiglianza tra i due soggetti è innegabile, ma anche vaga, tanto che il terzo uomo ritratto nella foto che qui si aggiunge – quella di Massimo Palanca, leggendario attaccante del Catanzaro – dimostra ovviamente non che anche il calciatore anconetano prese parte all’attentato, ma come sia ridicolo costruire un’ipotesi su un dato tanto vago (capelloni ricci e baffoni erano tipici di migliaia e migliaia di ragazzi, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80). Per altro, se alla Procura generale si indagasse come si deve, si dovrebbe escludere a priori la possibilità che uno degli attentatori, dopo molto tempo dal fatto, fosse ancora sul luogo del delitto.
Il video da cui è stato tratto il fotogramma, pare proprio essere quello girato da Gian Paolo Testa, cinefilo all’epoca inquadrato tra gli intellettuale del Pci, ex-attendente di Eugene Dolmann durante la Rsi ed ex-collaboratore di Giorgio Guazzaloca nella prima e finora unica giunta non “rossa” di Bologna, il quale non ha mai raccontato di essere stato alla Stazione al momento dell’attentato; quindi, è presumibile che, sul luogo, il Testa sia giunto molto dopo le 10.25, quando certamente tutti i terroristi coinvolti nel vile gesto erano sicuramente scappati via. Di più. La “pista” che porterebbe a Paolo Bellini e, da questi, a Stefano Delle Chiaie e ad altri ex-esponenti dell’eversione degli ambienti di Avanguardia e Ordine nuovo non solo non è nuova; non solo fu lungamente esplorata e poi abbandonata dagli inquirenti; ma porterebbe, se avesse un qualche fondamento, lontanissimo da Gilberto Cavallini e dagli altri ex-Nar condannati in via definitiva. Curiosamente – o grottescamente, se si vuole -, la Procura generale sembra ripercorrere al contrario la strada che fu presa, dopo le improvvide dichiarazioni dell’allora primo ministro Francesco Cossiga – quelle che, poi, si rimangiò, chiedendo scusa al Msi-Dn -: anche nel 1980 si cominciò a indagare negli ambienti di On, in quelli presunti legati a Tuti o a Freda, per incastrare alla fine Giusva Fioravanti e i suoi sodali, dopo aver provate tutte le altre strade possibili; oggi, pur non mettendo in discussione le discutibilissime condanne definitive e cercandone addirittura una conferma col processo a Cavallini, si rispolverano anche tutte le vecchie alternative, assurdamente immaginate “in concorso” con la tesi prevalente.
Teoremi inaccettabili
Quel che è fastidioso, oltre che scarsamente accettabile dal punto di vista giuridico, è che, per disegnare questi teoremi, la Procura generale di Bologna è costretta a seminare dubbi o a chiedere la revisione di posizioni già archiviate a carico di persone morte da tempo, come nel caso dell’ex-procuratore di Bologna dell’agosto ’80, Ugo Sisti. E tutto questo riporta alla considerazione iniziale, enunciata in uno dei primissimi articoli di questa ormai lunga corrispondenza da Bologna, quando si evidenziò come a Bologna non si celebrassero “riti”, bensì “messe nere giudiziarie”. Diabolici meccanismi investigativi che, c’è da sperarlo, non coinvolgano, dopo la pubblicazione della sua foto, anche l’idolo dei “giallorossi” del Sud.