Repubblica si accanisce contro Alemanno: lui come un boss dei Casamonica

26 Feb 2019 13:36 - di Annalisa Terranova

A firmare l’editoriale con il quale oggi Repubblica commenta la condanna in primo grado a 6 anni per l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno è Sergio Rizzo. Il nome di Rizzo è strettamente collegato al libro La casta, scritto col collega Gianantonio Stella. Pubblicato nel 2007, oltre un milione di copie vendute,  rappresenta un po’ la bibbia dell’antipolitica. Rizzo è dunque tra i consapevoli responsabili dell’ondata di protesta che ha portato al potere a Roma e in altre città l’inconcludenza e l’impreparazione dei Cinquestelle.

Questo non significa assolvere in blocco tutta la classe politica. Ma di qui a condannarla tutta e senza appello ce ne corre. Rizzo racconta ai lettori di Repubblica che ieri ci sono state due sentenze significative: quella di condanna per Gianni Alemanno e quella di condanna per Antonio Casamonica per il raid al Roxy Bar. Poi riconosce, bontà sua, che le storie sono diverse tra loro ma solo “apparentemente”. Trattasi di due facce di una stessa “patologia”. La politica forniva le coperture e la mafia si radicava nella Capitale. La prova: la foto della cena in cui Alemanno sedeva a tavola con Luciano Casamonica. Tutto chiaro. Sembra la sceneggiatura perfetta dell’ennesima fiction ispirata a Mafia Capitale. Solo che qui bisognerebbe connettersi con la realtà.

Oltre alle due sentenze di ieri, infatti, ce n’è stata un’altra che Sergio Rizzo non cita: quella che fa cadere l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso contro Alemanno. Con Mafia capitale Alemanno non c’entra. E lo hanno stabilito i giudici. Il reato per cui è stato condannato è quello di corruzione e finanziamento illecito. Rizzo non ricorda nemmeno, o finge di non ricordare, quanto più volte affermato da Salvatore Buzzi (protagonista del processo con Massimo Carminati, ritenuto a capo della cupola criminale a a Roma faceva e disfaceva tutto). Buzzi ha spiegato ai giudici che Alemanno non era un sindaco “comprato”: «Da Rutelli in poi ho contribuito a tutte le campagne elettorali, ho finanziato tutti, solo al al Pd ho dato 380 mila euro». E ancora: «Nell’intercettazione in cui mi si sente dire che con Alemanno sindaco “eravamo a cavallo” mi riferivo al contorno, non a lui direttamente, perché avevamo dalla nostra parte Franco Panzironi, ex direttore generale di Ama, che era corrotto, il quale mi obbligò a fare finanziamenti alla fondazione di Alemanno, sempre tramite altre cooperative, mai direttamente con la 29 giugno – ha aggiunto Buzzi – Le tangenti le davo a Panzironi ma Alemanno non era da considerarsi “comprato”, lui lo avrò incontrato una o due volte». Concetto ribadito dagli avvocati di Gianni Alemanno: “Hanno fatto accertamenti su tutta la vita di Gianni Alemanno, hanno passato al setaccio l’attività della fondazione Nuova Italia, conti correnti, perquisizioni, milioni di intercettazioni e fra queste non c’è una intercettazione dove si dica che Alemanno ha preso soldi”. Sfumature. Repubblica è più interessata ai teoremi, in particolare se cavalcati dalle inchieste dell’Espresso. Dunque la sentenza è senza appello: per questo “fango” che ha sommerso Roma, dove si sono mischiati denaro e consenso, ci sono”responsabilità politiche precise e oggettive”. Oggettive e precise come la “prova” del terribile “cortocircuito” tra politica corrotta e criminalità. La foto della famosa cena. Presentata come se fosse una cena del film Il Padrino. Era invece la cena di una cooperativa sociale, c’erano anche tre esponenti del Pd e Luciano Casamonica era incensurato. Era il 2010. Dettagli. Sfumature. Il giornalismo manettaro non se ne cura.

 

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