Prima di pensare al federalismo differenziato, rilanciamo il presidenzialismo

26 Feb 2019 14:50 - di Mario Bozzi Sentieri

Riceviamo da Mario Bozzi Sentieri e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

La riapertura del  confronto sul regionalismo  non sembra avere suscitato  particolari attenzioni tra l’opinione pubblica. Differenziata o meno, l’autonomia, legata soprattutto ad ambiti come fisco e fiscalità locale, sanità, infrastrutture e trasporti, istruzione e beni culturali,  non infiamma gli animi e non anima il confronto politico. Sondaggi alla mano poco più del cinquanta  per cento del campione intervistato dichiara di essere a conoscenza della questione. Eppure il tema è cruciale, riaprendo, su nuove basi,  uno storico e mai sopito dibattito  tra il Nord ed il Sud del Paese. 

L’articolo dell’intesa tra Stato e Regioni che chiedono maggiore autonomia prevede l’idea che la spesa dello Stato sia destinata a cambiare in base ai fabbisogni parametrati al reddito fiscale, sulla scorta della storica convinzione di un Settentrione che paga le tasse e di un Meridione che non lo fa. In realtà il tema  è un po’ più complesso sia – numeri alla mano – in ragione delle risorse procapite differenziate tra Nord e Sud, con evidenti sperequazioni per il Sud, sia in merito all’evidente disorganicità istituzionale con cui si intende affrontare la questione.

Un buon federalismo deve essere infatti visto come parte integrante di una più vasta riforma della Costituzione, che, nel momento in cui è massima la volontà di decentrare poteri e competenze,  si ponga quale elemento equilibratore. E’ qualcosa di più di un’ipotesi di lavoro. Si tratta di una vera e propria necessità istituzionale che non può non passare dal recupero dell’idea del presidenzialismo, elemento centrale di una nuova governabilità e  garante dell’unità nazionale.

Ciò che bisogna inoltre riconoscere è che il tema dell’autonomia differenziata oggi  diventa anche un importante elemento di riflessione e di confronto sullo Stato sociale, sui suoi costi e sulle sue inefficienze, sulla sua oggettiva difficoltà a rispondere ai bisogni reali del cittadino e delle famiglie, individuando nella “sussidiarietà orizzontale” (secondo cui alla cura degli interessi e dei bisogni generali provvedono i cittadini, come singoli e attraverso le realtà associative, ed i pubblici poteri intervengono con funzioni di programmazione, di coordinamento ed eventualmente di gestione) lo strumento concreto, attraverso il quale realizzare l’auspicata politica del rigore, ma anche della nuova efficienza, della solidarietà ed insieme della parsimonia.

 E’ una grande sfida di libertà ed è anche il segno di un autentico federalismo che riconosca ai cittadini, attraverso l’associazionismo ed il volontariato, il diritto-dovere di  vedere soddisfatte le  proprie domande di servizi.

Di fronte al rischio di una nuova burocrazia “federale”, la sussidiarietà orizzontale rappresenta  un essenziale strumento di riequilibrio e di salvaguardia, in settori cruciali quali la scuola, la sanità, l’assistenza sociale. 

Come scriveva, più di novanta anni fa,  sul tema del regionalismo, Gioacchino Volpe, grande storico di scuola nazionale “qualsiasi rimaneggiamento istituzionale è utile solo in quanto abbia dietro di sé una più salda trama di forze sociali, più alta educazione politica di collettività e di gruppi dirigenti, senso più robusto dell’interesse generale, maggiore voglia di lavorare e disposizione o rassegnazione a confermare il proprio tenore di vita a certe condizioni generali dell’economia nazionale e internazionale”.

Il rischio, oggi, di fronte alle grandi trasformazioni innescate dall’autonomia differenziata è che l’opinione pubblica rimanga ai margini, considerando il processo in atto come un esercizio di ingegneria costituzionale o , peggio, per alcune aree del Paese, come uno scotto politico da pagare ad un partito, la Lega Nord. 

Sarebbe  insomma un errore considerare la nuova stagione del regionalismo come un  passaggio di routine. Per dare concretezza all’iniziativa federalista occorre piuttosto  trasformarla in un’occasione di mobilitazione politica e sociale, espressione – per dirla con Volpe – di una più salda trama di forze sociali e di un senso più robusto dell’interesse nazionale. 

 Il richiamo ad una gestione attenta e parsimoniosa delle risorse pubbliche, l’integrazione tra sussidiarietà verticale (impegnata a fissare la distribuzione di competenze amministrative tra diversi livelli di governo territoriali) e sussidiarietà orizzontale, una più ampia visione del riformismo costituzionale sono elementi essenziali per fare sì che la nuova fase federalista possa essere non solo “fiscale” ma anche partecipativa e solidale e dunque autenticamente “nazionale”. Il rischio altrimenti è che si indebolisca l’unità nazionale e si frantumi la coesione sociale. Con gravi conseguenze per il Nord ed il Sud del Paese. Senza distinzioni.

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