Intervista con Bruno Danovaro, il campione di arti marziali a cui piacciono Meloni e Salvini
Bruno Danovaro è un campione di arti marziali, imbattuto da 110 incontri, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti, in Italia e all’estero, per il suo impegno negli sport da combattimento. Judo, karate, ju-jutsu, kick boxing, grappling, box thai, e tutti quegli sport analoghi che negli ultimi anni si sono diffusi. Ma non solo questi: Danovaro detiene anche diversi record nel sollevamento pesi (ha sollevato oltre mezza tonnellata) ed è esperto di equitazione, rodei e lotta grecoromana. Un atleta poliedrico ed eclettico, che ha ricevuto non solo medaglie e coppe ma anche attacchi per la sua pluriennale battaglia contro il doping, la droga, il bullismo, argomenti sui quali tiene incontri e conferenze nelle scuole e nelle università di tutta Italia. L’uomo ci ha incuriosito, anche perché sbirciando nella sua pagina facebook, tra le centinaia di foto che lo ritraggono nel corso delle sue attività sportive, abbiamo anche trovato foto di lui con vicino il tricolore, e gli abbiamo chiesto perché.
“Ecco – ci ha risposto – mi è capitato spesso di andare all’estero a disputare incontri, e ogni volta che vedo il tricolore o qualcuno mi parla bene dell’Italia, confesso di sentire una grande emozione, perché mi sento orgogliosamente italiano da sempre”. Il motivo, racconta Danovaro,che è genovese di nascita ma milanese di adozione, è legato certamente al nonno Vittorio, ufficiale durante il fascismo e volontario in guerra, che gli ha trasmesso quei valori e quella concezione del mondo che hanno sempre informato Danovaro nel corso di tutta la sua vita, sia professionale sia spirituale. “Sì, – racconta – tutto iniziò alle scuole elementari, quando fui bullizzato, come dice oggi, da altri compagni di scuola. Mio nonno, vedendo l’occhio nero, mi spinse a farmi rispettare, a reagire, a non subire soprusi. Lo feci e da allora tutto è filato liscio. La mia famiglia – continua Danovaro – mi ha trasmesso l’amore per lo sport, da mio nonno, a mio padre che era una promessa del nuoto anche se poi ha fatto l’avvocato. Inoltre ero piuttosto portato per l’attività fisica: mi indirizzarono dapprima al ciclismo, al calcio, ma la vera svolta fu quando iniziai a fare il judo, che per me fu una vera rivelazione. Da lì è partito tutto il mio amore per le arti marziali. Il judo mi ha insegnato a rispettare le regole, mi ha formato come atleta e come uomo, e ho avuto l’onore di avere grandi maestri”.
Danovaro, poi, nei primi anni Novanta partì per l’America, dove trovò un mondo ovviamente del tutto diverso dal nostro, più aperto verso gli atleti, e lì si impegnò con la pesistica, dove conseguì successi e record. “Gli americani mi hanno insegnato molto, hanno una mentalità più aperta alle nuove idee. Comunque, dopo la parentesi negli States, tornai a Milano dove ho aperto una palestra, continuando sempre l’attività sportiva. E iniziai la mia guerra contro il doping, e devo dire che dopo anni di battaglie, l’abbiamo sconfitto, con la collaborazione delle forze dell’ordine. Sono stato, oltre che nelle scuole, anche nelle carceri, dove ho cercato di trasmettere l’importanza di quei valori come il sacrificio, l’allenamento, spingendoli a chiudere una brutta pagine della loro vita e a guardare avanti. Ho collaborato con don Mazzi, con don Rigoldi, sono stato nelle comunità di recupero, e devo dire che molti ex tossici vengono ancora oggi in palestra. Perché io credo molto nella prevenzione più che nella repressione”. Danovaro non lo racconta, ma nel 2002 è uscita la sua biografia, L’uomo più forte del mondo, di C. De Carli per le edizioni Limina, in cui si raccontano le sue avventure americane e la sua lotta contro lo spaccio, e di quando venne inserito nella classifica dei 100 uomini più potenti del mondo, e dei suoi encomi ufficiali per il suo impegno con le forze dell’ordine nella lotta al doping. “Questo è un argomento che sento molto – dice ancora – perché soprattutto negli anni scorsi c’era il rischio che ci fossero dei maestri non adeguati, magari violenti, prevaricatori, che si facevano gli steroidi. E questa gente è a contatto con i nostri ragazzi, con il nostro futuro e dovevo assolutamente impedire loro di fare danni. C’è bisogno di educatori seri, di corsi di aggiornamento, di preparazione, di gente che sappia trasmettere certi valori ai giovani.”.
Ma c’è un’altra cosa che ci ha colpito tra le foto della pagina fb di Danovaro: tra le foto di palestre, di premiazioni, di cavalli, di cani, di tricolori, c’è anche un’immagine di Ettore Muti, Gim dagli occhi verdi; ma leggendo quello che Bruno ha scritto sotto, si capisce che gli piace non perché fosse un leader fascista, forse neanche lo sa, ma perché Muti era uno che pur potendo stare comodamente davanti alla scrivania, invece decise di stare sempre in azione, di pilotare il suo aereo, di correre i rischi, di inseguire il suo sogno. E per questo fu ucciso. Danovaro, fosse di destra? “Veramente sì, lo sono da sempre, perché per me essere di destra significa avere certi valori, essere coraggiosi, non tirarsi mai indietro e rialzarsi se si cade. E soprattutto essere onesti e puliti. Ultimamente ho fatto campagna elettorale per il sindaco di Cinisello Balsamo Gherardi, e a livello nazionale mi piacciono molto Giorgia Meloni e Matteo Salvini, perché sono delle persone che hanno sempre la stessa faccia, non come certi altri politici…. A livello locale poi mi piace molti Silvia Sardone, perché è una donna coraggiosissima che crede molto a quello che fa, tanto che le ho offerto di accompagnarla quando va a fare le sue rischiose ispezioni nei campi rom…”. Cos’altro dire di Danovaro? Che lui ha fatto anche da istruttore per la difesa personale ai nostri militari per le missioni all’estero, che oggi si occupa delle coreografie per gli stuntman, che è maestro di diverse discipline da combattimento e che ha iniziato la lotta greco romana. “A questo proposito, io penso – dice – che un addestramento specifico per la difesa personale vada dato non solo ai nostri corpi speciali, ma anche agli agenti e ai carabinieri che tutti i giorni sono per strada”. E’ stato amico del governatore della Virginia, di Bob Dole e ha conosciuto bene Bud Spencer, che tra l’altro era un grande sportivo: “Sì, Bud Spencer in Italia lo conosciamo per un certo tipo di film, ma lui aveva due laureee, era una persona equilibrata e pacata, un uomo di grandissimo valore che mi ha insegnato molto: non a caso in Ungheria gli hanno anche dedicato una statua”. Un’ultima cosa, a cui Bruno tiene molto: nel 2018 è stato eletto Competitor dell’anno 2018 nella sezione grappling come eroe italiano in campo internazionale, e nel prossimo aprile ritirerà il premio della Hall of fame delle arti marziali a Monaco di Baviera. Ora, tra i mille progetti, ha anche quello di divulgare lo Shindokai kan, una stile di karate completo, come responsabile del nord Italia col maestro Pedemonte e col fondatore Richard.