Abusi su una minorenne all’interno di una comunità terapeutica: la replica della struttura
Nelle scorse settimane abbiamo raccontato la storia di una adolescente con problemi psichiatrici che, secondo la denuncia della famiglia della ragazza, avrebbe subito abusi durante la sua permanenza in una struttura, Casetta Rossa, atta alla riabilitazione sociale e creata per assolvere al ruolo di comunità di persone che vive e promuove l’
Abusi su una minorenne all’interno della struttura: la replica di Casetta Rossa
Struttura che, rivendicano gli addetti ai lavori di Casetta Rossa, «ha sempre “tutelato ed aiutato” i minori, anche il 14.9.2017 – giorno in cui la mamma della giovane sostiene nella sua denuncia si sarebbero verificati gli abusi ndr– erano presenti 4 operatori specializzati “psicologo”, “assistente sociale”, “educatrice professionale”, la legge ne prevede solo 2 per 8 minori presenti, i quali non percepirono alcuna richiesta di aiuto». Non solo: rispetto a quanto sostenuto dalla famiglia della ragazza relativamente a un mancato controllo che avrebbe consentito ai due ragazzi ospiti della struttura di aggredire la giovane, Casetta Rossa sottolinea che, «di notte le camere (omogenee per sesso e caratteristiche dei pazienti) non sono chiuse, sono collocate nel corridoio dove si trova l’ufficio degli educatori, che sorvegliano con costanti ronde. Non si vede quale ulteriore accorgimento, oltre a quelli adottati, poteva ragionevolmente esser posto in essere al fine di scongiurare, in concreto, il pericolo del verificarsi di atti sessuali, specie violenti, tra minori». E se la mamma della ragazza, oggi 19enne, puntando l’indice contro due presunti responsabili degli abusi, chiede giustizia – uno dei due è attualmente a processo presso il Tribunale dei minori, mentre per l’altro non sono state evidenziate responsabilità dirette – di contro i rappresentanti legali di Casetta Rossa tengono a ribadire che, «pur non conoscendo le risultanze d’indagine non si ritiene possibile che “tracce di violenza sessuale” possano risultare da tamponi vaginali o referti medici coevi. La riferita presenza di tracce di liquido seminale sugli abiti, che furono messi a disposizione degli inquirenti proprio dalla Struttura e rinvenuti nel cesto dei panni sporchi», per chi tutela il diritto di difesa di Casetta Rossa «non è elemento indicativo di violenza».
Sulla vigilanza e sui controlli all’interno della comunità terapeutica
Anche perché, ribadiscono dalla comunità terapeutica, «la struttura ha sempre vigilato sul divieto di rapporti sessuali, anche se consenzienti, sia pur rispettando il diritto alla privacy dei minori». Minori che, ribadiscono da Casetta Rossa, la struttura ha accolto anche in quanto «sottoposti a misure penali e civili perché obbligata dalla legge l’Art. 10 del D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 272 (D.P.R. 22.9.1988 n.488) che recita: «L’organizzazione e la gestione delle comunità deve rispondere ai seguenti criteri: a) organizzazione di tipo familiare, che preveda anche la presenza di minorenni non sottoposti a procedimento penale e capienza non superiore alle dieci unità, tale da garantire, anche attraverso progetti personalizzati, una conduzione e un clima educativamente significativi». Già, perché proprio la cosiddetta “condizione mista” è stata al centro di un’interrogazione portata all’attenzione del Consiglio Regionale che, tra i vari punti all’esame, ha posto alla Pisana il problema della compresenza e convivenza all’interno di una stessa comunità di «ragazzi in cura e ragazzi sottoposti a misure penali». Un’interrogativo a cui risponde l’articolo di legge sopra citato. Infine, per completezza dell’informazione va riportato quanto sottolineato dalla comunità psico-educativa secondo cui la struttura, che i legali rappresentanti asseriscono «non essere finanziata dalla Regione Lazio, è stata ed è sottoposta a intensi controlli da parte di ASL, Centro per la Giustizia Minorile, Procura della Repubblica Tribunale per i Minorenni, senza ricevere censura in oltre venti anni».