2 agosto ’80: crolla miseramente la leggenda dei “milioni di dollari” di Gelli ai Nar
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Per quanto confezionato con abilità, è crollato il castello di carte dei 2 milioni di dollari che, nel ragionamento delle parti civili, Gilberto Cavallini avrebbe ricevuto probabilmente da Licio Gelli per ripagare i Nar della strage compiuta a Bologna e di cui si sarebbe trovata traccia certa niente meno che in un appunto autografo di Cavallini. Andando con ordine, la seconda udienza alla presenza dell’imputato si è aperta con una notizia che potrebbe essere foriera di novità importanti: concedendo altri 60 giorni di tempo al perito chiamato ad analizzare i reperti dell’esplosione, gli si è data anche la facoltà di riesumare di resti di Maria Fresu, la vittima “scomparsa” e di cui fu ritrovato solamente un lembo – di attribuzione per altro incertissima -, al fine evidente di provare a fare luce definitiva anche su questo mistero. Inoltre, ma se ne riferirà a parte, è stato ascoltato il magistrato di Cassazione, Carcano, sull’ormai fantomatico mistero delle minacce a Giancarlo Stiz.
Clamoroso autogol processuale
Poi, è ricominciato l’esame di Cavallini, condotto dall’avvocato Andrea Speranzoni per le parti civili. E qui è sorto subito un problema di non piccolo momento. Il presidente Michele Leoni, infatti, trovandoselo sul tavolo, ha aperto un plico – proveniente dalla Procura generale, dove pende un ulteriore procedimento sempre sulla Strage di Bologna – in cui erano contenute le agende trovate in possesso dell’imputato al momento dell’arresto, nel 1983. Fin da una prima analisi, è subito apparso come nessuna delle tre contenesse i fogli, sulla base dei quali Speranzoni stava interrogando Cavallini. Di conseguenza, i difensori si sono chiesti se non fosse più giusto mostrare all’imputato gli originali, dato che la provenienza di quei fogli non appariva certa o per lo meno conosciuta a tutti gli attori del processo. Cavallini, però, ha tagliato corto, ritenendo che, comunque, la grafia delle fotocopie potesse essere la sua e accettando di rispondere lo stesso, anche contro il parere dei suoi stessi legali. A un certo punto, processualmente, ciò è apparso come un clamoroso autogol, dato che Speranzoni, mostrando uno di questi fogli, ha chiesto all’imputato di spiegare alla Corte che origine avessero <i tre milioni di franchi svizzeri> che, in quella carta dove erano appuntati alcuni suoi conti personali dell’epoca, sarebbero stati nella sua disponibilità diretta o per tramite di colui o di coloro ai quali era demandato il compito di custodire la cassa dei Nar e/o sua personale. Cavallini è sembrato cadere dalle nuvole e, pur negando di aver mai avuto a disposizione una tale cifra, non è sembrato particolarmente convincente nel rammentare l’intera vicenda di questi soldi.
Richiamo non casuale ai dollari
“Tre milioni e mezzo di franchi svizzeri” – come ha tenuto a sottolineare più volte Speranzoni -, al cambio dell’epoca, erano 2 milioni di dollari. E il richiamo alla valuta americana non era casuale, rimandando evidentemente alla leggenda dei soldi ricevuti da Gelli da parte della Cia o da altro servizio deviato atlantico e passati almeno in parte ai Nar. Interrotta l’udienza per la pausa pranzo, però, Cavallini ha avuto un momento di serenità per analizzare meglio la carta su cui era stato così insistentemente interrogato fino a quel punto e di cui non riusciva a dare spiegazione e, osservandola meglio, la verità è emersa. Banalmente. Alla ripresa dell’udienza, infatti, prima che Speranzoni ricominciasse a incalzarlo, Cavallini ha chiesto alla Corte la parola per evidenziare come, contrariamente a quanto si era ascoltato nella concitazione del dibattimento, nell’appunto non c’era scritto che lui, all’epoca, avesse la disponibilità di <tre milioni e mezzo di franchi svizzeri>; bensì di <tre milioni e mezzo in franchi svizzeri>. Cioè, di un controvalore in franchi svizzeri di tre milioni e mezzo di lire dell’epoca che, in dollari – giusto per completare il ragionamento -, non erano nel 1980 più di un migliaio. Mezzo millesimo della cifra ipotizzata da Speranzoni prima del pranzo. Con benevolenza, si può dire che si è assistito, nella prima parte del secondo giorno d’interrogatorio dell’imputato, a una “commedia dell’equivoco”, giocato sullo scambio di preposizioni semplici che, per quanto apparentemente insignificanti, cambiano, però, l’intero significato di una frase e dei fatti che quella frase sotto intende. Sopra a tutto, in un’aula di tribunale. L’emergere della verità su questo passaggio deve aver innervosito molto lo Speranzoni, il quale ha ricominciato l’esame a Cavallini con un tono più seccato, al limite dello sgradevole, tanto che l’imputato ha deciso di avvalersi da quel momento della facoltà di non rispondere più alle parti civili. Dunque, la “palla” è passata ai difensori e al presidente della Corte; mentre i pubblici ministeri hanno chiesto di rinviare l’ulteriore esame dell’imputato, per acquisire prima altri materiali. Cavallini, per tanto, dovrà tornare in aula il prossimo 6 marzo.