Roma affonda nella monnezza, ma se la prendono con Alemanno per la differenziata

31 Gen 2019 17:30 - di Federica Parbuoni
alemanno

Forse non sta bene chiamarlo accanimento giudiziario. Ma, insomma, il dubbio viene. Gianni Alemanno si è visto recapitare un nuovo rinvio a giudizio, stavolta di fronte alla Corte dei conti. L’accusa è che non avrebbe rispettato i termini del Patto per Roma in fatto di differenziata. Secondo la tesi dei pm contabili, che si sono mossi su esposto di un comitato, l’allora sindaco non avrebbe centrato l’obiettivo del 30% fissato da quell’accordo (vincolante) del 2012 con il ministero dell’Ambiente e per questo, insieme all’allora assessore competente Marco Visconti e ad alcuni dirigenti, dovrebbe risarcire la città con 1.351.713 euro. A fine 2012, però, la differenziata arrivò al 30,2%, un risultato inedito per la Capitale, che la difesa illustrerà nel corso dell’udienza fissata per il 7 febbraio. Non solo, a fine 2013, come ricordato dall’allora presidente dell’Ama, Piergiorgio Benvenuti, la differenziata arrivò a sfiorare il 40%.

Alemanno: «La differenziata mai cresciuta come allora»

«Il 7 febbraio affronterò questa materia e sono convinto che questo teorema accusatorio verrà meno, perché mai come in quel periodo la racconta differenziata è cresciuta nella nostra città», ha detto Alemanno al Secolo d’Italia, senza voler aggiungere altro per rispetto dei tempi e dei modi della giustizia. Ma se il risultato è stato conseguito, come si arriva al rinvio a giudizio, di cui ha dato conto Repubblica, parlandone come  fosse quasi già una condanna scritta? A quanto emerge, i pm avrebbero dato una loro interpretazione del Patto, stabilendo che il risultato del 30% andava considerato come dato medio annuo e non come punto di arrivo di un impegno spalmato nel tempo. Si tratta di una lettura che, considerata la questione, lascia un tantino perplessi. Ma tanto sarebbe. E tanto spiegherebbe anche il passaggio del dispositivo in cui i pm contabili scrivono che «appare incauta la sottoscrizione di un protocollo d’intesa che prevedeva una percentuale del 30%, evidentemente ardua da raggiungere se rapportata ai dati statistici dell’intero anno».

Quando Roma era un modello da studiare

Nell’intesa tra ministero e Campidoglio, però, secondo quanto riferito da fonti qualificate, non si parlava di media annua, ma di un obiettivo da raggiungere. Sul quale, per altro, vigilava un organismo di controllo fatto dallo stesso ministero, dalla Regione e da altri organismi esterni al Comune. Obiettivo che fu raggiunto nel 2012 e ampiamente superato nel 2013, come ricordato da Benvenuti. Di più, quei risultati fecero di Roma anche un esempio internazionale. «Prima della gestione Alemanno eravamo al 20% di differenziata, poi ci fu il Patto per Roma e riuscimmo a portarla al 30%. Inoltre – ha ricordato Benvenuti, alla guida dell’Ama da agosto 2011 a gennaio 2014 – facemmo un lavoro di razionalizzazione, che diede ulteriore slancio alla differenziata. Prima c’erano 7 tipologie diverse di raccolta, con noi Roma divenne un modello da studiare a livello internazionale». In quel periodo Ama ricevette la visita di Paul Connett, il padre della strategia “Rifiuti Zero”, e di Jack Macy, a sua volta “guru” mondiale delle politiche per l’azzeramento dei rifiuti. «Espressero il loro apprezzamento per il lavoro che avevamo fatto e che stavamo facendo», ha spiegato ancora Benvenuti, sottolineando che in quegli anni l’incremento della differenziata portò Roma a superare «tutte le capitali e le grandi città europee, a eccezione di Monaco di Baviera». Questo processo alla Corte dei conti, dunque? «Aspettiamo quello che succede, ma il lavoro che è stato fatto per ottimizzare il servizio è innegabile e ci sono i dati».

 

 

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