Ricerca italiana: senza la molecola della felicità diventeremmo tutti maniaci

17 Gen 2019 12:21 - di Redazione

Vi siete mai chiesti che cosa accadrebbe se il nostro cervello smettesse di produrre la serotonina, ovvero la cosiddetta molecola della felicità? Se sì, la risposta c’è e arriva da uno studio tutto italiano pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature che ha mostrato l’esistenza di un legame causale fra la riduzione dei livelli di serotonina nel cervello e l’insorgenza del disturbo bipolare. In poche parole, senza la molecola della felicità scatta la sindrome maniacale. Lo studio è stato condotto dal professore Massimo Pasqualetti del dipartimento di biologia dell’Università di Pisa, dal professore Alessandro Usiello dell’Università della Campania e del Ceinge di Napoli e dalla dottoressa Chiara Mazzanti della Fondazione pisana per la Scienza. La ricerca ha inoltre coinvolto competenze di elettrofisiologia e imaging funzionale delle équipe guidate da Alessandro Gozzie da Raffaella Tonini, in rappresentanza dei rispettivi istituti italiano di tecnologia di Rovereto e di Genova.

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La serotonina è determinante contro lo stress

«Il nostro studio – ha spiegato Pasqualetti – ha permesso di associare il deficit di serotonina allo sviluppo di sintomi riconducibili alla sindrome maniacale. Infatti, abbiamo dimostrato che la cosiddetta molecola della felicità è fondamentale per attenuare lo stress da “insulti” ambientali provenienti dal mondo esterno, senza di essa il nostro cervello è più attivo e da cui appunto la fase up o maniacale che fa da contraltare alla depressione».

Gli esperimenti sulla molecola della felicità dei topi

I ricercatori hanno condotto lo studio attraverso una sperimentazione su modelli animali e così hanno visto che i topi a cui veniva inibita la produzione di serotonina mostravano comportamenti, come ad esempio la perdita del senso del rischio, assimilabili a quelli delle persone in fase maniacale. Se però agli stessi animali veniva somministrato l’acido valproico, un farmaco comunemente usato per la cura del disturbo bipolare, ecco che i loro tratti comportamentali alterati si normalizzavano. Oltre all’analisi comportamentale, i ricercatori hanno condotto lo studio anche nelle cellule nell’ippocampo dove i geni sono risultati più attivi proprio in corrispondenza della fase maniacale. «La conoscenza dei complessi meccanismi che governano la fenomenologia del disturbo bipolare – ha concluso Pasqualetti – costituisce senz’altro un passo in avanti per l’identificazione di modelli validi per testare terapie farmacologiche sempre più avanzate».

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