Jan Palach, gli antifascisti non vogliono il concerto. E il Manifesto dice: era un comunista
Cominciamo da Verona: qui era in programma sabato 19 gennaio per il cinquantenario del sacrificio di Jan Palach (che si diede fuoco 50 anni fa per protestare contro la repressione comunista della Primavera di Praga) un concerto di gruppi vicini alla destra con il patrocinio della Provincia di Verona. Immediate si sono levate le lamentele degli antifascisti per censurare l’iniziativa con annunciate proteste dei centri sociali. Un can can in seguito al quale il Teatro delle Stimmate ha ritirato la sua disponibilità ad ospitare l’evento, organizzato dall’associazione “Nomos-Terra e identità”. Il concerto – cui avrebbe partecipato uno scrittore e giornalista, Gabriele Marconi, e un gruppo, la Compagnia dell’Anello, che definire “nazisti” è ridicolo – è diventato subito un “concerto nazi-rock”. Vi dovevano prender parte anche i gruppi Hobbit e Topi neri. Ma soprattutto a dar fastidio a Repubblica è il fatto che la destra si “permetta” di ricordare Jan Palach come se fosse un “simbolo fascio-sovranista”.
Jan Palach da sempre al centro dell’immaginario della destra
Mario Bortoluzzi, voce e anima storica della Compagnia dell’Anello, si dice esterrefatto dalla piega che hanno preso gli eventi: “Questi non sanno nemmeno di cosa parlano. Siamo stati noi de La Giovine Italia i primi a scendere in piazza quando Palach si bruciò. Tutti gli altri partiti sono stati zitti”. Franco Cardini, oggi affermato medievista e un tempo seguace de La Giovane Europa, conferma che la destra ha sempre coltivato la memoria del “giovane di Praga”, il cui sacrificio stava a testimoniare il sogno di un’Europa unita e senza muri, che è stato tragicamente vanificato. Tra l’altro proprio la Compagnia dell’Anello dedicò al giovane martire anticomunista una canzone nel 1978 che si intitolava semplicemente Jan Palach: “Quanti fiori sul selciato / quante lacrime avete versato / quante lacrime avete versato / per Praga … E’ morto sotto i carri armati / il futuro che avete sognato / Nella gola ti hanno cacciato / le grida di un corpo straziato / Quanti fiori sul selciato / quante lacrime avete versato / per Jan Palach”.
Il Pci e la rivolta di Praga
Il fatto è che oggi il tempio del politicamente corretto appare infastidito da questo ricordo di Jan Palach a destra che continua una tradizione mai interrotta. Scatta così il desiderio di recuperare un nome e un simbolo che la sinistra per decenni ha ignorato. Un’operazione cui ben si presta il titolo odierno del Manifesto: Jan Palach, un comunista luterano. Un titolo che stride con quanto affermato dieci anni fa dal “compagno” Fausto Bertinotti a proposito delle piazze sessantottine: “La rivoluzione di Praga fu lasciata sola. E’ onesto dire che le migliaia di giovani che manifestavano da Berlino a Parigi, a Roma a Milano, non riconobbero i loro fratelli della Primavera di Praga, non videro che, nel cuore dell’Europa, c’era qualcuno che parlava del loro futuro”. A onor del vero il Pci condannò l’invasione brezneviana del ’68 a Praga, cosa che non aveva fatto il Pci di Togliatti nel 1956 con la repressione della rivolta di Budapest, ma fu una condanna che non portò certo quel partito a scindere il legame con il Pcus sovietico. E non poteva essere altrimenti, visto che quel legame rappresentava per i comunisti nostrani una fonte di finanziamento irrinunciabile come dimostrato minuziosamente dal Dossier Mitrokhin per quanto concerne gli anni che vanno dal 1970 al 1977, un flusso di denaro ininterrotto per un totale di 23 milioni e 300mila dollari in sette anni.
Solo perché si è messo contro il pc russo; poveracci!