Il signoraggio bancario e la crescita del debito pubblico italiano

29 Gen 2019 12:52 - di Enea Franza

Riceviamo da Enea Franza e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

È da un po’ di tempo che negli incontri e nei dibattiti a cui mi capita di partecipare affiora l’idea che il “signoraggio bancario” sia la causa dell’attuale crisi economica e finanziaria. A rilanciare sui mass media un tema, quello del signoraggio bancario e della sua influenza nell’attuale crisi economica,  è stato sicuramente il clamore suscitato dai tentativi condotti dall’avv. Marra di portare la questione all’attenzione dei tribunali italiani, ma anche gli interventi pubblici di non pochi intellettuali che hanno discusso del ruolo della Banca Centrale Europea, in concomitanza con i tanti ritardi che essa, prima della svolta di Draghi, ha mostrato nella gestione dell’emergenza finanziaria. Da ultimo in molti hanno sostenuto che il signoraggio bancario abbia avuto un impatto importante sulla crescita del debito pubblico italiano. 

Cerchiamo nelle poche righe che seguiranno di tentare una risposta ai dubbi sollevati, facendo riferimento a quando fino ad oggi la dottrina economica ha acquisito sulla questione.

Quando parliamo di signoraggio bancario in senso stretto intendiamo l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta ed, in particolare, in rapporto all’euro, facciamo riferimento al reddito originato dagli attivi detenuti in contropartita delle banconote in circolazione che viene ricompreso nel calcolo del reddito monetario. Ne fa menzione anche l’articolo 32.1 dello Statuto del SEBC, secondo cui il “signoraggio” è “Il reddito ottenuto dalle Banche Centrali Nazionali nell’esercizio delle funzioni di politica monetaria del Sistema Europeo delle Banche Centrali”. Come si vede, già da queste prime battute, il potere dalla Banca Centrale di “battere moneta” è garantito in sede di Statuto, e ad essa si riconosce il diritto al signoraggio che risulta essere il ricavo dell’attività delle funzioni di politica monetaria da questa svolta.  Insomma, una precisa esplicitazione del ruolo attribuito all’Istituto di emissione e del compenso riconosciutogli, come emerge ad una attenta lettura dello stesso statuto e dei trattati.  Sgombriamo quindi subito il campo da una prima questione. Che l’istituito sia di proprietà privata, in quanto tra i soci ci sono gli istituti di emissione dei Paesi aderenti, non sarebbe, a dispetto delle apparenze e secondo il pensiero dominante un problema. A ben guardare anche il nostro Istituto di Emissione, la Banca d’Italia, è di proprietà di soggetti privati.  Tuttavia, occorre forse soffermarsi sulla questione dei soggetti che effettivamente decidono della politica monetaria invece che discutere sull’assetto della proprietà. Le decisioni, infatti, si osserva, vengono prese non dall’assemblea ma dal direttorio ed, in particolare, dal Governatore, che è nominato dal Governo. Tuttavia, anche sul punto non può non sottacersi che la procedura prevede che sia Bankitalia stessa che ne indichi al Governo il nome, che, invero, può rifiutare il nominativo sottopostogli.  E’ chiaro che sotto questo aspetto, i dubbi e le ambiguità non sono di poco conto, e le regole di governance – che dovrebbero garantire la perfetta impermeabilità della Banca dai Governi – in realtà sembrano molto poco stringenti, come invece certa stampa vuole far credere. Ma passiamo oltre, concentrandoci sull’attività di emissione monetaria, ed appuriamo se il signoraggio connesso al costo dell’emissione monetaria effettuata dalle banche centrali, rispetto a quella che può essere fatta dal Tesoro, sia da considerare un “non problem”. Bene, vediamo di fare chiarezza. Cominciamo, quindi, col rispondere ad una semplice domanda: come avviene attualmente l’emissione della moneta circolante, ovvero, della c.d. M0 , secondo la terminologica tecnica seguita dalle autorità monetarie? 

In primo luogo, in premessa, chiariamo a tutti che alla Banca Centrale Europea ed alle Banche nazionali aderenti al trattato monetario è proibito acquistare titoli di stato sul mercato primario, ma che le stesse possano acquistare titoli di Stato dagli investitori che li abbiano in portafoglio. Corollario di quanto affermato è che alla BCE ed alle banche nazionali è negato partecipare alle aste pubbliche. L’acquisto dei titoli pubblici effettuato sui mercati secondari determina che il costo del debito pubblico si scarica sul mercato, ed ha come contro partita la stampa di banconote (o l’accredito di disponibilità per l’intermediario che vende). L’emissione delle (banconote) stesse, quindi, viene iscritto al passivo del bilancio dell’Istituto di emissione, proprio per evitare che la banca abbia un attivo da spendere. Se, infatti, le banconote fossero iscritte all’attivo la banca stessa potrebbe spendere quel valore, viceversa, mettendole al passivo, l’emissione stessa va pareggiata con l’attivo dei titoli di Stato. Ne segue che la ricchezza della BCE e delle Banche Centrali Nazionali (BCN) è dato da quello che è scritto sui bilanci e non dalle banconote possedute fisicamente ed elettronicamente; infatti, esse possono stamparsi tutto il denaro che vogliono, ma non possono spenderlo se non dietro l’acquisto di titoli. Illuminante è la risposta di Olli Rehn del 31 gennaio 2012 alla interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione presentata dall’On. Borghezio sulla proprietà della moneta sulla natura giuridica della proprietà dell’euro. Cosi la domanda del rappresentate italiano al parlamento europeo: “Alla luce della discussione scientifica in atto a livello internazionale sul signoraggio della moneta e premesso che detto signoraggio sta a monte di tutto il sistema monetario, poiché si colloca nel momento di emissione della moneta; posto che, allo stato attuale, non è dato individuare chi sia creditore e chi debitore nella fase della circolazione dell’euro, mentre i popoli europei hanno pieno diritto di conoscere se siano «creditori» in quanto proprietari o «debitori» in quanto non proprietari per un valore pari a tutta la massa monetaria di euro posta in circolazione; può la Commissione precisare, in maniera chiara e definitiva, a chi appartenga giuridicamente la proprietà dell’euro al momento della sua emissione?” Risponde il Commissario a nome della Commissione: “Sebbene da un punto di vista giuridico il diritto di emettere banconote in euro appartenga sia alla Banca centrale europea (BCE) che alle banche centrali degli Stati membri dell’area dell’euro, ad emetterle fisicamente e a ritirarle dalla circolazione sono, in pratica, solo le banche centrali nazionali. Nel caso delle monete in euro, emittenti di diritto sono gli Stati membri dell’area dell’euro e qualsiasi questione ad esse relativa è coordinata dalla Commissione a livello dell’area dell’euro. Pertanto, al momento dell’emissione le banconote in euro appartengono all’Euro-sistema, mentre le monete sono di proprietà degli Stati membri. Una volta emesse, sia le banconote che le monete in euro appartengono al titolare del conto su cui sono state addebitate di conseguenza. I proventi del signoraggio sono ripartiti tra le banche centrali nazionali e la BCE in base allo schema di sottoscrizione del capitale della BCE per le banconote. I proventi del signoraggio sulle monete vanno agli Stati membri dell’area dell’euro”.

Tale fatto, ai fini del discorso che facciamo, ha un’importante conseguenza: la maggior parte dei titoli di Stato dei Paesi europei è in mano agli investitori di mercato (banche private, investitori privati, cittadini, ecc.) e solo in minima parte alla BCE ed alle banche centrali nazionali, per cui il debito e la spesa per interessi pagati su tale debito non grava sulle banche nazionali ma sugli investitori, specialmente quelli che comprano sul mercato primario che incassano gli interessi decisi al momento dell’asta pubblica (ovvero i più alti). 

Approfondiamo adesso la questione, ed ipotizziamo una operazione nella quale sia una banca che chieda denaro alla Banca centrale europea. 

In sostanza ciò che accade è (supponendo un’operazione annuale per semplificare i conti) che una banca che ha bisogno di riserve monetarie per un totale di 1,000€ deposita titoli di Stato (o anche titoli di debito privato) presso la banca centrale e riceve riserve (diciamo banconote) per un valore di 1,000€. Dopo un anno, supponendo l’interesse pari al 5%, i titoli di Stato hanno maturato, su un capitale di 1,000€, interessi per 50€: la banca restituisce la banconota di 1,000€ e si riprende il titolo che aveva depositato, ma lascia alla banca centrale quei 50€, e questi 50€ sono i profitti da signoraggio della banca centrale. La Banca Centrale Europea, nell’ipotesi in cui l’operazione fatta genera profitti sugli interessi maturati sulla base monetaria, ovvero sui titoli in portafoglio, deve ridistribuire gli utili di bilancio alle banche nazionali. In sostanza, posto un guadagno, pari ad esempio a 2-3% del valore delle banconote (e di tutte le riserve bancarie, per essere precisi) questi profitti vanno successivamente allo Stato che provvede a colpire il reddito tramite il prelievo fiscale. 

Ciò ha un’ulteriore non trascurabile conseguenza: la moneta in circolazione nell’ambito dei paesi aderenti al sistema dell’euro (e quindi anche in Italia) non sarebbe di proprietà della collettività dei cittadini di quei paesi, con la conseguenza che ciascun cittadino potrebbe eventualmente rivendicarne, pro quota, il reddito derivante dalla stampa e dalla circolazione di detta massa monetaria, oggi invece percepito dalla Banca Centrale Europea e poi ridistribuito tra le diverse Banche centrali nazionali. La Banca Centrale, infatti, acquista titoli comprandoli dai privati e pagandoli con emissione di moneta. L’emissione avviene in funzione dei compiti suoi propri che sono, in definitiva, quelli che gli vengono attribuiti dal Trattato istitutivo , ovvero, di conservare il potere d’acquisto della moneta.

Bene, penso sia sgombrato il campo da ogni dubbio su cosa in effetti sia il signoraggio, inteso in senso stretto. Ma ragioniamo ancora, e allarghiamo il tema, passo dopo passo.  Approfondiamo, per il momento, il tema del signoraggio nell’ipotesi in cui il potere di stampare moneta invece che essere attribuito ad un istituto indipendente, così come avviene oggi per l’Euro, venga invece conferito al Governo o a qualche istituzione che da esso in qualche modo venga a dipendere.  Muoviamoci per affrontare il tema da una premessa: quello che a tutti interessa è certamente il potere di acquisto della moneta che, in termini matematici può essere scritto come un rapporto tra M, la quantità di moneta esistente ed P, il livello generale dei prezzi (in formule M/P). Adesso, se un governo fosse in grado di controllare il numeratore (M cioè la creazione di nuova base monetaria), non è però certamente in grado di controllare il denominatore (ovvero, l’indice generale dei prezzi). I prezzi infatti dipendono dalla domanda e dall’offerta globale, ed in particolare dai salari, dal gradi di concorrenza del mercato, dalle aspettative d’inflazione. Per valori bassi dell’inflazione, il finanziamento di una piccola quota del deficit statale tramite emissione di moneta, fa aumentare il valore reale del signoraggio; ma per livelli crescenti del tasso di inflazione il valore reale del signoraggio aumenterà sempre meno finché inizierà a diminuire, invertendo la tendenza. Questo livello massimo di signoraggio reale corrisponde ad una soglia massima di tolleranza che il sistema economico è disposto a subire senza avvitarsi in una spirale iperinflazionista: se il governo tenterà di oltrepassare questa soglia, l’inflazione andrà fuori controllo. Dunque: anche il signoraggio è in ipotesi controllabile ma esiste una misura oltre la quale stampare moneta non ha altra conseguenza che accendere l’inflazione. Data l’instabilità del mercato finanziario, dunque avviarsi su tale sentiero comporta reali pericoli di shock inflazionistici e l’esperienza passata dimostra quanto tale fenomeno sia deteriore per il Paese.

Quanto alla crisi finanziaria innescatasi nel 2008, la teoria economica è giunta alla conclusione che nulla ha a che vedere con il signoraggio bancario. 

Allora, per tirare le fila del discorso fatto, se andiamo a vedere la dinamica dei tassi d’interesse seguita dagli Usa e dalla Gran Bretagna, vediamo come la lunga gestione di Alan Greenspan alla Fed abbia garantito tassi di interesse reali molto bassi, e conseguentemente abbia tenuto basso il signoraggio, ma che la c. d. “economia dai riccioli d’oro”, ha contribuito non poco alla creazione di bolle nel mercato immobiliare e finanziario, che a innescato la forte crisi attuale. In particolare, alla emissione di moneta a buon mercato è seguita, altresì, una logica di deregulation che ha assecondato l’emissione di prodotti finanziari ad altro rischio e l’utilizzo della leva finanziaria da parte degli intermediari bancari.

Completiamo la sintetica analisi, con un’altra questione spesso confusa con il signoraggio. Quella in cui un paese finisce per adottare una moneta diversa, non emessa dalle proprie autorità monetarie, e che quindi rinuncia totalmente ad un qualsiasi reddito da signoraggio. Il caso può somigliare a quello dei paesi dell’Euro che hanno scelto di rinunciare alla sovranità monetaria delegando alla Banca centrale europea la politica monetaria e, tale similitudine si rafforza quando si osserva come il modello della Bce sia in effetti ritagliato sulle esigenze della Germania.  Nel mondo esistono diverse situazioni del genere, e gli economisti hanno studiato la questione, con particolare riferimento alla c.d. “dollarizzazione ”, ovvero, la sostituzione della moneta locale con il dollaro statunitense. Una tale politica espone a due tipi di perdite relative al signoraggio: da un lato a mano a mano che si ritira dalla circolazione la moneta nazionale cambiandola con la divisa straniera, le autorità monetarie devono ricomprare la massa di moneta di proprietà del pubblico e delle banche, restituendo i diritti di signoraggio che si erano accumulati con il tempo. Inoltre le autorità monetarie perdono i guadagni relativi al signoraggio nel futuro. Nel contempo, naturalmente, lo Stato di cui si è adottata la moneta (gli Stati Uniti nel caso della dollarizzazione) aumenta le proprie entrate relative al signoraggio. 

In estrema sintesi, dunque, la dollarizzazione ha dei costi/benefici economici e politici, così riassumibili: – perdita del ’senorjage’, ovvero, la differenza tra quello che una banconota vale e il suo costo di produzione, che non va più alla Banca Centrale, bensì alla FED; – la perdita di una propria Banca Centrale e quindi l’impossibilità di intervenire nel sistema bancario, creditizio e finanziario; – la perdita di una politica monetaria e quindi di un Piano di sviluppo nazionale. A fronte di questi costi, i benefici riguardano: – il raggiungimento dello stesso tasso d’inflazione del Paese di cui si adotta – la moneta; gli stessi tassi d’interesse; – la stabilità del cambio.

Per l’Euro la questione della perdita del ’senorjage’ è stata risolta con la retrocessione degli utili alle banche nazionali, ma nel mondo esistono diversi precedenti. Ad esempio, gli accordi sottoscritti tra il Sudafrica e altri tre stati africani che utilizzano il rand come valuta avente corso legale (Lesotho, Namibia e Swaziland). Gli Stati Uniti, invece, non hanno sottoscritto fino a oggi alcun accordo simile con Panama o con altri paesi in cui il dollaro ha corso legale. Ciò nonostante, al Senato degli Stati Uniti sono state presentate proposte legislative relative al rimborso dei diritti di signoraggio. 

Restano però in piedi tutte le altre questioni ed in primo luogo quelle della perdita di una propria Banca Centrale e quindi dell’impossibilità di intervenire nel sistema bancario, creditizio e finanziario, oltre, naturalmente l’aspetto questo si, dal mio punto di vista essenziale per uno stato nazionale di gestire in proprio una politica monetaria e quindi di un Piano di sviluppo nazionale.

Insomma, come nel nostro Paese e c’è da scommettere in molti altri, il dibattito sul signoraggio, e le tante le tante richieste di restituzione ai cittadini, lasciano intendere che il dibattito si presta a molteplici osservazioni, che è alimentato dalla visione messianica che  nelle molte culture e religioni e culture riveste il denaro; Tuttavia, nella crisi attuale il signoraggio c’entra poco, ma il signorinaggio in senso ampio molto centra con la perdita di sovranità di un paese.

La crisi attuale genera, dunque, in definitiva, dallo sfrenato avventurismo finanziario che, complice una politica monetaria di denaro facile, ha caratterizzato indistintamente il comportamento delle grandi banche dell’Occidente come dell’Oriente e nella incapacità delle autorità monetarie del vecchio continente a gestire la politica monetaria con l’autonomia necessaria. Siano d’esempio gli errori compiuti dalla BCE. In merito, c’è unanime consenso almeno sui seguenti punti:

  • – di fronte ad una crisi esplosa nel giugno la BCE è intervenuta solo nel dicembre 2011 con immissione di liquidità, peraltro insufficiente, tanto da richiedere nuovi interventi pochi mesi dopo nel marzo 2012; 
  • – la richiesta alle Banche di garanzie (collaterali) fortemente penalizzanti; 
  • – il rifiuto dal parte della banca centrale, almeno fino al luglio 2012 ,di finanziare i debiti pubblici degli stati dell’unione europea.  

Il successivo deleverage , attuato dagli intermediari bancari e dalle imprese, per far fronte ai debiti costituisce non la causa ma la conseguenza normale di una crisi finanziaria. 

Il Giappone può costituire una lezione. Quando nel 1989 la Banca centrale decise di alzare il tasso di sconto (per fronteggiare l’enorme liquidità) il crollo dei prezzi degli immobili e delle azioni ed il fallimento di banche ed imprese, ha generato un lungo periodo di riassestamento, nel quale la domanda interna si ridotta fortemente inducendo una spirale depressiva che ha colpito le imprese e le ha determinate a tagliare i costi licenziando il personale. Il Paese è uscito dalla crisi lentamente, intraprendendo una politica monetaria nota come quantitative easing, per scongiurare il credit crunch, ma per la uscire fuori dalla deflazione, a nostro parere, non può che sostenersi la domanda globale.

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