Brexit, Theresa May inflessibile: “No a un secondo referendum, sarebbe poco serio”

21 Gen 2019 18:47 - di Guglielmo Gatti

Theresa May crede che arriveranno richieste “per un secondo referendum” sulla Brexit, ma si aspetta che i deputati della Camera dei Comuni “rifiuteranno” la proposta di convocare una nuova consultazione popolare sulla Brexit. Intervenendo ai Comuni la premier ha infatti espresso la convinzione che la convocazione di un nuovo referendum “minerebbe la coesione sociale” del Paese. May ha ricordato come “abbia molte volte espresso le mie perplessità” su un secondo referendum. “Il nostro dovere è applicare la decisione del primo – ha affermato – temo che un secondo referendum segnerebbe un difficile precedente su come verranno gestiti i referendum nel nostro Paese”. L’eventualità di una nuova consultazione popolare avrebbe, secondo May, controindicazioni non solo di principio ma anche pratiche perché “richiederebbe un’estensione dell’articolo 50 e segnerebbe con ogni probabilità il ritorno di un nuovo gruppo di nostri rappresentanti al Parlamento europeo a maggio”. “Credo che non si riconosca abbastanza il fatto che il secondo referendum danneggerebbe la coesione sociale minando la fiducia nella democrazia”, ha concluso esprimendo la convinzione che per questo in seno ai Comuni non “c’e’ una maggioranza a sostegno di un secondo referendum”.

Intanto ci sono problemi in vista per i circa 3,5 milioni di cittadini Ue (circa 600 mila gli italiani) che risiedono nel Regno Unito. Da stamani è operativo il sistema di registrazione per i cittadini Ue che intendono fare domanda per ottenere il “settled status”, una sorta di permesso di soggiorno permanente, per il dopo Brexit. Le voci critiche sostengono però che migliaia di cittadini Ue potrebbero finire per rimanere senza i requisiti legali necessari, se le loro domande non verranno processate rapidamente. Maike Bohn, fondatrice della campagna per garantire ai cittadini Ue gli stessi attuali diritti anche dopo la Brexit, non ripone molta fiducia nel sistema ideato dal governo britannico e parla del rischio di un nuovo “Scandalo Windrush”. Il riferimento è ai tanti immigrati caraibici giunti nel Regno Unito negli anni ’50 e ’60 e rimasti senza documenti a causa di una serie di errori ed inefficienze della burocrazia. Quelle persone “si fidarono del ministero dell’Interno e molte di loro vennero espulse perché pur essendo dei cittadini in regola non potevano dimostrarlo”, ha detto la Bohn al Guardian. Al momento il servizio è accessibile a tutti i cittadini Ue che sono in possesso di un passaporto e a tutti i familiari dei cittadini extracomunitari che dispongono di una carta di identità elettronica. Si tratta, di fatto, della terza fase del processo di registrazione, preceduto da due test ai quali hanno avuto accesso gruppi selezionati di cittadini stranieri.

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