Anche il governo gialloverde salva una banca, la Carige. Rispunta la Boschi: «Fanno come noi»

8 Gen 2019 10:13 - di Lucio Mea

Il governo interviene su banca Carige e tenta il salvataggio con un decreto legge approvato ieri sera in Consiglio dei ministri. Il provvedimento “Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio” prevede due misure: la garanzia di Stato sulle emissioni dei nuovi bond della banca, come già accaduto con le banche venete, e la possibilità per Carige di accedere, “attraverso una richiesta specifica”, a una ricapitalizzazione pubblica a carico del Tesoro.

Le due misure che, sottolineano da Palazzo Chigi, “si pongono in linea di continuità con il provvedimento di amministrazione straordinaria recentemente adottato dalla Banca Centrale Europea”, e che hanno l’obiettivo “di consentire ai Commissari di assumere le iniziative utili a preservare la stabilità e la coerenza del governo della società, completare il rafforzamento patrimoniale dell’Istituto già avviato con l’intervento del Fondo Interbancario dei Depositi, proseguire nella riduzione dei crediti deteriorati e perseguire un’operazione di aggregazione”. Il premier Giuseppe Conte ha spiegato che “il governo ha approvato un decreto legge che interviene a offrire le più ampie garanzie di tutela dei diritti e degli interessi dei risparmiatori della banca Carige”. E lo stesso ha sottolineato il vicepremier Luigi Di Maio.
La decisione del governo di intervenire per il salvataggio di Carige è apparsa in contraddizione con quello che è sembrato l’orientamento gialloverde finora -“Dal governo non un euro alle banche”. Poche ore prima il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, aveva ricevuto i tre commissari straordinari della banca ligure – Fabio Innocenzi, Pietro Modiano e Raffaele Lener – commissariata dalla Bce lo scorso 2 gennaio. Nel colloquio si sarebbe affrontato il possibile intervento della Sga, la bad bank del Tesoro, che potrebbe rilevare un pacchetto di 2,8 miliardi di crediti deteriorati della banca protagonista, negli ultimi anni, di un ‘calvario’ fatto di aumenti di capitale, stress test falliti e crollo del titolo in Borsa (sospeso sine die dopo il commissariamento).

Il tentativo di salvataggio arriva dopo il recente fallimento della ricapitalizzazione dell’istituto: è il 22 dicembre scorso quando in assemblea non passa l’aumento da 400 milioni approvato dal cda. Ad astenersi, bloccando l’operazione è la famiglia Malacalza, maggior azionista del gruppo, che a fronte di una continua erosione del valore della banca, nell’ultimo anno il titolo ha perso oltre l’80%, decide di non investire ancora. L’aumento in opzione ai soci serviva a restituire i 320 milioni di ‘prestito ponte’ concessi a novembre scorso dal Fondo, e quindi dalle banche italiane, con la sottoscrizione di bond subordinati.

La scelta del Cdm arriva dopo una giornata iniziata con l’incontro tra i vertici dello Schema volontario del Fondo interbancario e i commissari della banca ligure pronti a chiedere la revisione delle condizioni del prestito subordinato sottoscritto a fine novembre. Il primo passaggio, in salita, è il tentativo di trattare un tasso di interesse meno oneroso del 16%, scattato dopo lo stop all’aumento di capitale.

Se Carige punta a risparmiare sugli interessi, in attesa di un accordo complessivo, il Fondo mira a rientrare velocemente dall’investimento con l’ok all’aumento o con l’ingresso di un nuovo partner che ripaghi il prestito obbligazionario. Resta da capire se i Malacalza torneranno a investire nel gruppo – un’azienda valutata, dallo stesso governo, quale essenziale strumento per realizzare il rilancio dell’intero sistema economico-sociale ligure – oppure se toccherà all’esecutivo Lega-Cinquestelle farsi carico del salvataggio. Mentre sul tavolo restano aperte più ipotesi, oggi è il giorno dei sindacati.

Il governo interviene su banca Carige e tenta il salvataggio con un decreto legge approvato ieri sera in Consiglio dei ministri. Il provvedimento ‘Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio’ prevede due misure: la garanzia di Stato sulle emissioni dei nuovi bond della banca, come già accaduto con le banche venete, e la possibilità per Carige di accedere, “attraverso una richiesta specifica”, a una ricapitalizzazione pubblica a carico del Tesoro.

Due misure che, sottolineano da Palazzo Chigi, “si pongono in linea di continuità con il provvedimento di amministrazione straordinaria recentemente adottato dalla Banca Centrale Europea”, e che hanno l’obiettivo “di consentire ai Commissari di assumere le iniziative utili a preservare la stabilità e la coerenza del governo della società, completare il rafforzamento patrimoniale dell’Istituto già avviato con l’intervento del Fondo Interbancario dei Depositi, proseguire nella riduzione dei crediti deteriorati e perseguire un’operazione di aggregazione”. Il premier Giuseppe Conte ha spiegato che “il governo ha approvato un decreto legge che interviene a offrire le più ampie garanzie di tutela dei diritti e degli interessi dei risparmiatori della banca Carige”. E lo stesso ha sottolineato il vicepremier Luigi Di Maio.

La decisione del governo di intervenire per il salvataggio di Carige è apparsa in contraddizione con quello che è sembrato l’orientamento gialloverde finora -“Dal governo non un euro alle banche”-. Poche ore prima il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, aveva ricevuto i tre commissari straordinari della banca ligure – Fabio Innocenzi, Pietro Modiano e Raffaele Lener – commissariata dalla Bce lo scorso 2 gennaio. Nel colloquio si sarebbe affrontato il possibile intervento della Sga, la bad bank del Tesoro, che potrebbe rilevare un pacchetto di 2,8 miliardi di crediti deteriorati della banca protagonista, negli ultimi anni, di un ‘calvario’ fatto di aumenti di capitale, stress test falliti e crollo del titolo in Borsa (sospeso sine die dopo il commissariamento).

Il tentativo di salvataggio arriva dopo il recente fallimento della ricapitalizzazione dell’istituto: è il 22 dicembre scorso quando in assemblea non passa l’aumento da 400 milioni approvato dal cda. Ad astenersi, bloccando l’operazione è la famiglia Malacalza, maggior azionista del gruppo, che a fronte di una continua erosione del valore della banca, nell’ultimo anno il titolo ha perso oltre l’80%, decide di non investire ancora. L’aumento in opzione ai soci serviva a restituire i 320 milioni di ‘prestito ponte’ concessi a novembre scorso dal Fondo, e quindi dalle banche italiane, con la sottoscrizione di bond subordinati.

La scelta del Cdm arriva dopo una giornata iniziata con l’incontro tra i vertici dello Schema volontario del Fondo interbancario e i commissari della banca ligure pronti a chiedere la revisione delle condizioni del prestito subordinato sottoscritto a fine novembre. Il primo passaggio, in salita, è il tentativo di trattare un tasso di interesse meno oneroso del 16%, scattato dopo lo stop all’aumento di capitale.

Se Carige punta a risparmiare sugli interessi, in attesa di un accordo complessivo, il Fondo mira a rientrare velocemente dall’investimento con l’ok all’aumento o con l’ingresso di un nuovo partner che ripaghi il prestito obbligazionario. Resta da capire se i Malacalza torneranno a investire nel gruppo – un’azienda valutata, dallo stesso governo, quale essenziale strumento per realizzare il rilancio dell’intero sistema economico-sociale ligure – oppure se toccherà all’esecutivo Lega-Cinquestelle farsi carico del salvataggio. Mentre sul tavolo restano aperte più ipotesi, oggi è il giorno dei sindacati.

Intanto, dalle retrovie della politica, rispunta Maria Elena Boschi, che ironizza: « “Ieri il Governo del cambiamento ha salvato una banca. Giusto così, per i risparmiatori. Ma se fossero uomini seri oggi Di Maio e Salvini dovrebbero riconoscere che hanno fatto la stessa cosa che abbiamo fatto noi. Non lo faranno. Perché la parola verità non appartiene al loro vocabolario».

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