Perché Silvia ancora non si trova? Non dimentichiamo che il Kenya è la terra dei Mau Mau…
Raffiche di arresti, retate, persino linciaggi, ma la giovane Silvia Romano, italiana 23enne rapita in un villaggio del Kenya non lontano da Malindi il 20 novembre scorso da uomini armati, ancora non si trova. La polizia keniota ieri ha detto di ritenere che ritiene che la ragazza italiana sia ancora viva e sia ancora nel Paese. Lo ha detto il comandante della polizia regionale Noah Mwivanda, citato dall’emittente keniota Ntv. L’Italia da parte sua, come accade in questi casi, ha subito inviato in Kenya alcuni uomini dei servizi speciali che stanno effettuando ricerche in ogni modo, ma finora senza risultato. “Stiamo facendo tutto il possibile con tutti i mezzi che uno Stato ha a disposizione per riportare a casa Silvia”, ha detto due giorni fa il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, dopo la visita alla questura di Milano, a chi gli chiedeva se ci fossero novità su Silvia Romano. “So – ha aggiunto – che il ministero degli Esteri lavora giorno e notte. Ci hanno chiesto di non entrare nel merito delle iniziative in corso, ma siamo fiduciosi”. Le autorità hanno chiesto silenzio per poter giungere a un lieto fine della vicenda, lieto fine ottenibile sia con il pagamento di un riscatto ai rapitori sia con un blitz delle nostre forze speciali, ma è ovvio che le cose in quel Paese non sono facili. Il Kenya non è un Paese democratico, non lo è mai stato, nonostante la pantomima delle elezioni che puntualmente vi si svolgono: basti pensare che l’attuale presidente della Repubblica, Uhuru Kenyatta, figlio dell’ex presidente Yomo Kenyatta, considerato il “padre della patria” kenyota, è stato eletto con il 98 per cento dei consensi, e che un altro ex presidente, Daniel Arap Moi, ha governato il Paese dal 1978 al 2002 in regime di monopartitismo. Il Kenya è una terra dove non è facile vivere e dove è ancora meno facile andare fare del bene. E’ la terra dei Mau Mau, una feroce setta politica indipendentista, capeggiata tra gli altri proprio da Yomo Kenyatta, che nel 1963 fece raggiunge al Paese l’indipendenza dal Regno Unito, ma a prezzo di atrocità e massacri inenarrabili, massacri non raccontati dalla storiografia ufficiale per non offuscare l’immagine di coloro che si erano affrancati dalla schiavitù e avevano conquistato la libertà dall’oppressore. E’ con questa rappresentazione edulcorata della realtà che si favoriscono le fantasie di persone ben intenzionate che pensano di andare nel Pese delle favole ad aiutare chi ha bisogno. Lodevole, ma chi parte dovrebbe conoscere la situazione di un Paese difficile, pericoloso, corrotto, in cui la vita umana conta meno che in Europa e in cui gli odi tribali sono ancora oggi inestinguibili. Ai tempi dei Mau Mau vi fu una vera e propria caccia al bianco, che molte volte si è concretizzata in massacri e stragi nelle fattorie tenute dagli inglesi, con uccisioni di donne e bambini. Basta leggere le cronache dell’epoca per rendersene conto. Oggi, a questi problemi endemici, si è aggiunto anche quello religioso, con infiltrazioni degli islamici dalla Somalia che complica le cose. Ha un bel dire la polizia kenyota di aver “sigillato” le frontiere nord con la Somalia, ma in realtà un piccolo aereo da turismo avrebbe potuto portare in due ore la ragazza in Somalia ancora prima che scattasse l’allarme. Tra l’altro, il Paese degli al Shabaab è facilmente raggiungibile da Malindi anche via mare. Siamo certi che i nostri inviati stiano facendo tutto il possibile e che probabilmente nei prossimi giorni avremo buone notizie, ma non si può attribuire ogni responsabilità ai fondamentalisti islamici o alla malavita comune: l’Africa non si affronta con leggerezza, non lo si è mai potuto fare, e se i nostri ragazzi entusiasti non lo sanno, il ministero degli Esteri lo deve sapere.