Il neo-pensionato Spataro, le sirene della politica e «l’umanità sofferente»
Quando doveva fare il magistrato faceva politica, senza, peraltro, essere stato democraticamente eletto, a botte di urticanti dichiarazioni ideologiche. Ora che Armando Spataro è diventato un fresco neopensionato – fino a qualche giorno fa era alla guida della Procura di Torino – fa sapere urbi et orbi che la politica non sarà il suo futuro. Ma sono in pochi a credergli.
Per l’ex-segretario nazionale del Movimento per la giustizia, una delle correnti di sinistra dell’Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe di cui è stato anche dirigente nazionale e segretario distrettuale di Milano, è giunto il momento di chiudersi la porta del palazzo di giustizia alle spalle. E i giornalisti sono andati naturalmente a chiedergli cosa farà da grande.
Il sospetto è che, dopo le incursioni nella politica e i duelli a distanza contro Matteo Salvini da dietro la toga, ora Spataro, dia libero sfogo alla sua vis polemica.
Lui, l’ex-punta della nazionale di calcio dei magistrati che ora ha ceduto alle suggestioni delle maratone, smentisce, naturalmente: «assolutamente no. Non sono mai stato cercato in vita (dalla politica, ndr) ma è bene chiarire che per questo non mi sento offeso». Il che non significa automaticamente che una chiamata alla politica attiva, magari da parte del Pd, possa dispiacergli.
«Questa ipotesi, poi – aggiunge – secondo cui chi va in pensione e magari ha svolto un ruolo come quello che ho ricoperto io a Torino, e di cui sono onorato, abbia subito una prospettiva politica per me è sorprendente. La vita – sostiene – anche dopo la fine di un lavoro “da statale” non prevede come prosecuzione importante solo la politica, ce ne sono tante altre».
Spataro giura di non avere alcun progetto per l’immediato futuro: «certamente mi riposerò – dice, affrettandosi poi a precisare – Quello che mi piacerebbe fare è continuare a operare come ho sempre fatto in scuole, associazioni, ovunque sia possibile, parlare di legalità e dedicare molto tempo ai viaggi in terre lontane che sono per me un modo stupendo per conoscere l’umanità, in modo particolare l’umanità “sofferente”». Già, la sofferenza.
Non è stato proprio un rapporto indulgente e tollerante quello di Spataro con la politica vista anche la sua collocazione ideologica in una corrente, quella del Movimento per la Giustizia, che non ha mai rinunciato a scontrarsi con la politica e, ancor di più, con una certa parte politica.
E’ cosa recente lo scontro con Matteo Salvini accusato, senza mezzi termini, da Spataro di aver danneggiato un’indagine in corso scrivendo in un tweet quanto gli aveva appena rivelato il capo della polizia rispetto agli arresti di alcuni mafiosi nigeriani.
Ma la ruggine con Salvini è di vecchia data. Fin da quando, nel 2016, Spataro chiese, da capo della Procura di Torino, al ministero della Giustizia l’autorizzazione a disporre il rinvio a giudizio per il leader della Lega Nord, accusato di vilipendio dell’ordine giudiziario. Cosa aveva fatto di tanto grave Salvini da meritarsi una cosa del genere? Semplicemente, nel corso di un convegno a Collegno, parlando dell’inchiesta “Rimborsopoli” che aveva coinvolto l’allora vicesegretario federale della Lega, Rixi, Salvini aveva attaccato frontalmente le toghe provocando l’ira della casta e la reazione di Spataro: «Rixi è un fratello e lo difenderò fino all’ultimo da quella schifezza che è la magistratura italiana. Si preoccupi piuttosto della mafia e della camorra, che sono arrivate fino al Nord».