È morto Bertolucci: l’ultimo imperatore del cinema. Nume della sinistra?
È morto Bernardo Bertolucci. Il grande maestro del cinema italiano, che ha firmato capolavori come Ultimo tango a Parigi, si è spento a Roma all’età di 77. Vincitore di 9 Oscar nel 1988 per L’ultimo imperatore, il regista, nume ingombrante per una sinistra (sessantottina, acerba e troppo piccola) era malato da tempo. Poeta, produttore, polemista, raffinato e nazionalpopolar, Bertolucci ha attraversato e segnato la storia del cinema della seconda metà del secolo scorso: dallo sperimentalismo al cinema d’autore, dalla cinefilia alla grandeur, dal provincialismo della sua Emilia all’internazionalismo.
È morto Bernardo Bertolucci
Novecento, Ultimo tango a Parigi, Il té nel deserto, Piccolo Buddha, L’ultimo imperatore, il film da nove Oscar, sono alcuni dei suoi capolavori di fama mondiale. La sua vita è stata un’epopea, soprattutto agli esordi artistici. Fondamentale nella sua formazione la vicinanza con Pier Paolo Pasolini. Iscrittosi alla Facoltà di Letteratura moderna alla Sapienza di Roma, Bertolucci abbandona gli studi per dedicarsi al cinema. Il primo lavoro (trovatogli dal produttore Cino Del Duca) è quello di assistente regista dell’autore degli Scritti corsari in Accattone (1961) con Franco Citti e Adriana Asti (che sposerà). Nel 1968 firma con Dario Argento e Sergio LeoneC’era una volta il West (1968). Il suo primo film da regista, La commare secca, è un’idea di Pasolini. Poi nuove sperimentazioni: ” Non si può vivere senza Rossellini”, è il suo mantra in quel periodo.
Ultimo tango a Parigi e Novecento
Ma il fenomeno internazionale Bertolucci, la sua fama esplode con lo scandaloso Ultimo tango a Parigi con uno strepitoso Marlon Brando e una giovanissima Maria Schneider, fama accresciuta esponenzialmente dalla vicenda giudiziaria e la censura della pellicola per offesa al pudore (che costò a Bertolucci l’esclusione dai diritti politici per cinque anni) con la ormai nota denuncia di stupro della protagonista. “Povera Maria, è morta due anni fa e io sono stato incredibilmente triste perché dopo l’uscita del film non ci siamo più visti, mi odiava”, disse in un’intervista del 2013 Bertolucci, “la ‘scena del burro’ nacque da un’idea che io ebbi insieme a Marlon la mattina stessa prima di girarla. Nella sceneggiatura c’era scritto che lui avrebbe dovuto stuprarla, in un certo senso, e mentre facevamo colazione vedemmo una baguette e del burro, e senza dire nulla ci guardammo e capimmo cosa volevamo…”. Qualche nano prima la Schneider definì Bertolucci “un regista sopravvalutato, grasso, sudato e manipolatore”, facendo presente di essersi sentita “un po’ violentata” durante le riprese della scena del burro. A rafforzare la popolarità del regista controverso arriva Novecento (1976) con un cast mostruoso (Robert De Niro, Gérard Depardieu, Stefania Sandrelli, Burt Lancaster e altri ancora). Una metafora di mezzo secolo, con cui il regista trasfigura un melodramma familiare italiano favoloso, potente, commovente, audace, anche se a tratti retorico. Una lunga, interminabile, istantanea dell’Italia profonda e borghese. Deludente e manieristico per una parte della critica, Novecento resta una delle pietre miliari del cinema italiano, legata da un fil rouge a La Famiglia di Ettore Scola (1987) e ad alcuni capolavori di Ermanno Olmi. In piena bufera ’68 arriva un film tipicamente sessantottino, Partner. Poi il conformista, fedele ma non troppo al testo di Alberto Moravia. Nel 2003 Bertolucci ritorna al ’68 con The dreamers, i sognatori, la storia di tre ragazzi francesi che intrecciano scoperte erotiche, politica e amore per la settima arte, all’interno della quale il ménage a trois di tre giovani ragazzi nel pieno del ’68 forse è solo un modo per dichiarare amore eterno al cinema.