Processo Cavallini a Bologna, strane testimonianze richieste dalla Corte

4 Ott 2018 16:56 - di Massimiliano Mazzanti

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

A che gioco si stia giocando, nella Corte d’Assise di Bologna dov’è in corso il processo a carico di Gilberto Cavallini, a questo punto, non è più tanto chiarissimo. Ieri, nelle more della parte pomeridiana dell’udienza, in cui era protagonista l’ex-generale dei Carabinieri Giorgio Tesser, il presidente della Corte ha disposto la convocazione di Mirella Cuoghi e Paola Mannocci. Chi sono, queste due signore? La prima, è una dei 200 feriti di quel tragico giorno; la seconda, invece, è la figlia di Rodolfo Mannocci, a sua volta marito di Lina, una delle 85 vittime. Ora, la Corte e il suo presidente hanno tutto il diritto, secondo il codice che regola il processo, di chiamare ulteriori testi, oltre a quelli richiesti dalle parti, quando ritengono necessario supplire “all’inerzia” delle parti stesse o nella convinzione che ciò che un teste possa dire sia “indispensabile per assumere una decisione”. In altre e più semplici parole, la Corte può stimolare l’attività d’indagine, se ritiene carente l’operato della Procura, oppure se è convinta che una testimonianza possa contribuire in modo determinante a emettere una giusta sentenza. Ora, che il lavoro dei “pm” non sia stato particolarmente efficace può pure essere vero – anche perché non era facile né per loro né per chissà chi altri trovare elementi di “novità” in un vicenda su cui si è indagato per 40 anni e su cui sono stati celebrati innumerevoli processi -; sicuramente la Cuoghi e la Mannocci non appaiono soggetti che potenzialmente possano apportare chissà quale contributo all’accertamento della verità.

ùPartiamo dalla Mannocci: sua madre venne uccisa dall’esplosione e il padre ferito; quando quest’ultimo venne ascoltato dalla Polizia, ancora evidentemente troppo scosso, era accompagnato dalla ragazza, la quale, all’agente verbalizzante, disse che il padre, in un precedente momento di lucidità, le aveva detto di aver notato “due ceffi”, “due individui” che in qualche modo avevano colpito la sua attenzione prima dello scoppio. Nel verbale, il solerte agente sottolineò la necessità di risentire Rodolfo Mannocci, una volta ristabilitosi, ma nessuno – a quanto risulta dagli atti – lo fece più. Ora, Mannocci è morto e, di conseguenza, la figlia potrebbe essere giusto la latrice di un “de relato” – di un sentito dire – per di più a decenni di distanza. Si può inquadrare un’eventuale testimonianza del genere nella categoria delle “informazioni decisive” per una giusta sentenza? Con la Cuoghi, poi, si approda addiritturanella fiction. Il suo nome – anzi, il nome no, visto che l’autore lo tenne nascosto, asserendo come la donna avesse ancora paura di ritorsioni – lo fece Riccardo Bocca, autore di un testo alquanto modesto sulla strage di Bologna, pubblicato nel 2007 per i tipi della Bur. Nella prefazione – da pagina 7 a pagina 16 -, lo “scoop”: il 2 agosto una delle donne ferite vide Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, esattamente vestiti da turisti tedeschi, come sostenne Massimo Sparti nella sua ormai celebre – o famigerata – testimonianza. Curioso: la Cuoghi d’aver notato due tipi strani non lo testimonia nell’immediatezza dei fatti, ma solo nel 1982, quando, però, rifiuta di sottoscrivere l’apparente riconoscimento della Mambro, evidentemente perché non è poi così tanto sicura. Almeno non lo è quanto lo sarà a cavallo del 2005-2007 quando, a venticinque anni dall’esplosione e ormai settantenne, incontrando Bocca su suggerimento o con la mediazione di Paolo Bolognesi, l’agguerritissimo presidente dell’Associazione 2 agosto ed esponente dei Ds-Pd, non ha più dubbi sulla presenza dei due Nar a Bologna il giorno della strage. Anzi, Bocca – e gli intervistati Claudio Nunziata e Libero Mancuso, ex-inquirenti bolognesi nei primi processi per l’attentato – s’interroga retoricamente su come sia stato possibile che questa donna non sia mai stata ascoltata come sarebbe dovuto accadere, dopo quel primo esame del 1982. Adesso, quindi, il presidente della Corte d’Assise, Leoni, non farebbe che colmare una lacuna, sempre che una lacuna ci sia stata. E già, perché la Cuoghi, nel 1982, quando andrà davanti agli investigatori a dire d’aver visto due “vestiti da tedeschi”, esattamente come ha detto Sparti, darà una descrizione del pret-a-porter estivo germanico a dir poco grottesco: “Notai un ragazzo e una ragazza vestiti in modo assurdo, vista l’afa che c’era. Avevano pantaloni a tre quarti da montagna, calzettoni di lana e scarponi. In particolare la ragazza indossava calzoni verde militare, calzettoni rossi, una maglietta bianca, uno zaino, e aveva a fianco un golf o un giacchino tirolese”.

Non è difficile immaginare come, pur accordando la più completa buonafede alla signora, chi ha raccolto questa deposizione si sia reso conto di come non vi si descrivevano affatto due potenziali terroristi, ma, tutt’al più, due deficienti che – per di più se si fossero agghindati a bella posta in quel modo – avevano intenzione di farsi notare mica da qualcuno, bensì proprio da tutti. E un terrorista non agisce certo in quel modo. Per altro, nel ricordo della Cuoghi, anche un altro particolare mette in discussione l’attendibilità dei suoi ricordi: in compagnia della figlia fino a qualche momento prima dell’esplosione, la donna disse che ella s’inoltrò verso via Indipendenza – 200 metri dal piazzale della stazione – per cercare una farmacia, essendosi accorta d’avere le mestruazioni. Le due donne erano modenesi, giunte alla stazione di Bologna per salire su una coincidenza in pullman: perché mai la ragazza avrebbe dovuto andare in via Indipendenza e camminare – tra andata e ritorno – un chilometro per “cercare una farmacia”, quando ne aveva una aperta, affacciata proprio sul piazzale della stazione, a tre passi? Tutto può essere, ma tanta confusione e illogicità nei ricordi, per di più ad anni di distanza dai fatti, rendono le testimonianze a dir poco labili. Quindi, ci si chiede ora che valore possano avere a quasi 40 anni dai fatti, questo genere di deposizioni che Leoni sembra ritenere tanto necessarie?

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