Il posto al sole che Camillo Sbarbaro meriterebbe tra i grandi della poesia

29 Ott 2018 15:19 - di Stefano Duranti Poccetti

Riceviamo da Stefano Duranti Poccetti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore, si sa che la storia delle volte è troppo clemente con alcuni, mentre troppo poco con altri. Non si può certo dire che il poeta Camillo Sbarbaro sia stato dimenticato, ma sicuramente, al pari di altri, si sarebbe meritato un posto di rilievo nella letteratura. Lui, creatore di una delle più interessanti raccolte poetiche della lirica italiana, “Pianissimo”, e che è stato ricordato più volte da grandi intellettuali, sopra a tutti Eugenio Montale, il quale lo cita persino nei suoi “Ossi di seppia”. “Sempre assorto in me stesso e nel mio mondo/ come in sonno tra gli uomini mi muovo./ Di chi m’urta col braccio non m’accorgo,/ e se ogni cosa guardo acutamente quasi sempre non vedo ciò che guardo./ Stizza mi prende contro chi mi toglie/ a me stesso. Ogni voce m’importuna.” Solo qualche verso dalla raccolta “Pianissimo”, pubblicata per la prima volta nel 1914 sulla rivista “La Voce”, per mettere in risalto quella sapienza poetica che non è passata inosservata, come prima accennato, allo stesso Montale, che all’interno della sua silloge divenuta più celebre dedica una parte al poeta nato a Santa Margherita Ligure il 12 gennaio 1888 e deceduto a Savona il 30 ottobre 1967, formata da due liriche. “Sbarbaro, estroso fanciullo, piega versicolori/ carte e ne trae navicelle che affida alla fanghiglia/ mobile d’un rigagno; vedile andarsene fuori./ Sii tu preveggente per lui, tu galantuomo che passi:/ col tuo bastone raggiungi la delicata flottiglia,/ che non si perda; guidala a un porticello di sassi.” Questo è “Epigramma”, brano che insieme a “Caffè a Rapallo” compone la sezione “Poesie per Camillo Sbarbaro”, un vero riferimento per il premio Nobel, che non lo nasconde, descrivendo il poeta nella sua piena creatività, capace di forgiare navicelle partendo dalla carta, metafora dell’uomo geniale che dal niente riesce a creare tutto, rendendo l’impossibile in possibile. E chi è quel “galantuomo” che dovrebbe aiutare la buona navigazione? Forse il Destino che avrebbe dovuto concedere a Sbarbaro la celebrità che si sarebbe meritato? Può essere, peccato che la sua “navicella” non sia giunta al porto, o non l’ha fatto come avrebbe dovuto, forse arrivando ammaccata a causa di alcuni sassolini scagliati da qualche incauto critico o forse semplicemente per sfortuna, per un nubifragio che in parte lo ha allontanato dalla storia e dai libri di scuola.

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