Il Patto di stabilità è contro l’Italia e ne mortifica la crescita

25 Ott 2018 17:07 - di Enea Franza

Riceviamo da Enea Franza e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

Il governo italiano ha poco tempo per rispondere a quella che si configura davvero come un brutto precedente, capace d’incrinare in maniera irreversibile i rapporti tra i paese dell’Ue. Ma cerchiamo di capire dove effettivamente stà il torto, sempre ammesso che sia veramente possibile comprenderlo.

 Il patto di stabilità e crescita (in breve Psc) è un accordo, stipulato e sottoscritto nel 1997 dai paesi membri dell’Unione europea, che li impegna alla verifica delle politiche di bilancio pubbliche.  In base al Psc, gli Stati membri che, soddisfacendo tutti i cosiddetti parametri di Maastricht, decisero di adottare l’euro, si sono impegnati a rispettare nel tempo i seguenti vincoli nel bilancio dello stato, ossia: un deficit pubblico non superiore al 3% del Pil (rapporto deficit/Pil < 3%) ed  un debito pubblico al di sotto del 60% del Pil (o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro, ovvero, un rapporto debito/PIL < 60%). Conseguentemente il Psc ha modificato le previsioni di cui all’articolo 104 del Trattato, che in definitiva consta di tre fasi: avvertimento, raccomandazione e sanzione. 

Tale impostazione ha generato non poche critiche che hanno evidenziato come tali previsioni finissero per colpire la sovranità degli stati membri e, tra i critici più attivi, ci piace ricordare anche l’allora presidente della Commissione, Romano Prodi, che definì il Patto “inattuabile” per la sua rigidità, sebbene ritenesse comunque necessario cercare di continuare ad applicarlo.

Con la crisi del 2008 e l’esplosione dei debiti pubblici (ricordiamolo soprattutto con interventi a favore di molte banche non italiane in difficoltà), fu approvato dal Parlamento Europeo nell’ottobre 2011 (ed entrato in vigore a partire dal 12 dicembre dello stesso anno) un pacchetto di riforme che  hanno previsto per gli Stati che non si adeguino  all’austerity, multe europee pesantissime che, a seconda dei casi, sono nell’ordine dello 0,2% o 0,1% del Pil. L’articolato pacchetto di provvedimenti fu composto da una direttiva e cinque regolamenti (c.d. “six pact”). Uno di questi, in particolare, introduce nel Patto di Stabilità e Crescita il controllo sul debito imponendo agli Stati che abbiano un rapporto debito/Pil superiore al 60%, la riduzione del 5% annuo per la parte eccedente. 

La previsione è stata integrata, quindi, da un accordo intergovernativo firmato nel 2012 da 25 Stati europei e che è entrato in vigore all’inizio del 2013 attraverso un voto del Parlamento, il c.d. “fiscal compact”. 

Il fiscal compact modifica, in molte sue parti, il six pack ed impone l’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio, l’obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e superiore all’1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del Pil), la significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL, pari ogni anno ad un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL e, infine, l’impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell’Unione e con la Commissione europea. Tali modifiche passano anche sotto  il nome del cosiddetto “two-pack” del 2013.

Bene, sulla base di tali accordi ( che, ricordiamolo, non rientrano nei trattati ma per i quali è in corso la discussione per la conseguente modifica) l’Italia certamente non ha ottemperato ai due obblighi più stringenti, ovvero, quello che impone il pareggio di bilancio e quello che prevede la riduzione del debito pubblico progressivo di un ventesimo l’anno.

C’è da dire che la Germania, invece, ha rispettato entrambi i due obblighi principali: deficit e debito, anche se resta sempre aperta la questione più ampia (di cui Renzi ed Padovan si sono fatti portabandiera) del surplus nella bilancia commerciale e delle partite correnti del bilancio di quel paese, segnale che la Germania soffre di una domanda interna molto debole. Ma se allarghiamo la questione e giochiamo a chi tra Italia e Germania ha meno rispettato norme del Trattato e dei successivi accordi, c’è da dire che vinciamo un abbondante 5 a 2. 

Dunque a stare agli accordi, diciamo che l’Italia ha la maglia nera del mancato rispetto. Tuttavia, è vero che il Psc è contro l’Italia. Il tessuto produttivo ed il debito pregresso non consentono all’Italia lo sviluppo necessario. Dunque bene farebbe qualunque governo che si sedesse ai tavoli di Bruxelles e chiedesse l’immediato superamento di una logica di contenimento della spesa pubblica. È certo che il governo Conte che pur sostiene (a mio modo di vedere) a ragione tale ambizioso progetto,  va ai tavoli che contano rappresentando un paese che non ha rispettato i patti e questo lo rende debole e poco credibile nei giochi di potere e, soprattutto,  mette il Paese a repentaglio della mutevole  logica dei mercati. E già perché se in Europa si può benissimo battere i pugni, chi investe il proprio denaro vive la logica del momento ed è fortemente condizionato, in un mondo di computer dagli algoritmi che decidono, al superamento di valori prefissati (tassi d’interesse e tassi di cambio, in primo luogo) se vendere o acquistare. 

Purtroppo cosi va oggi il mondo !

Commenti

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  • Laura Prosperini 25 Ottobre 2018

    per alcuni può essere arduo ammetterlo ma…
    l’euro-pa così non funziona e non potremmo mai avere “un’altra” euro-pa quella della crescita
    esiste solo questa, quella dell’austerity (CHE NON FUNZIONA PER IL DEFICIT, BUSSARE A MONTI)
    ma funziona solo per disertificare il tessuto imprenditoriale (e i cittadini tutti) in Italia.
    Ripeto l’austerity NON funziona e lo sanno bene anche loro
    ma se si scoprisse invece che gli investimenti in defici funzionano sarebbe la fine dell’euro-pa
    ecco perchè sono così rigidi, vogliono espoliare completamente l’Italia
    – delle sue aziende (siamo la seconda Nazione manifatturiera d’Europa, malgrado i 20 anni fi=pd)
    – del suo oro (siamo secondi al mondo per riserve auree
    – del patrimonio immobiliare degli Italiani rendendolo costosissimo e quindi da vendere (ai fondi, alle banche o agli imprenditori sempre loro)
    VIA DALL’EURO-PA
    prima di subito
    piano b minibot nazionalizzazione banca d’italia
    eppoi…fuori