Feltri stronca Ezio Mauro: «I migranti non sono pericolosi? Questa è ipocrisia»

19 Ott 2018 10:53 - di Augusta Cesari

Una mutazione profonda sta investendo il nostro concetto di democrazia. Stiamo diventando, anzi,  siamo diventati tutti razzisti. È questa la tesi dell’ultimo libro di Ezio Mauro intitolato L’uomo bianco. I malumori, tornatene al tuo Paese, i calci, i pugni, l’insofferenza: “Perché sei qui, negro di merda?”. «Pensiamo di essere rimasti uguali a noi stessi, mentre stiamo diventando attori individuali di un cambiamento collettivo. È una scala privata, invisibile, che scendiamo passo dopo passo, fino all’intolleranza, finché qualcuno spara ai “negri”». Alcune perle contenute nel libro dell’ex direttore di Repubblica, che parte dal caso Macerata e di Traini, per ricavarne l’emblema della barbarie italiana. Come stupirsi di questa analisi, che manda in sollucchero i buonisti, le Boldrini, i Saviano e i corifei di radical chic che affollano le presentazini del libro di Mauro?

Una stroncatura eccellente arriva da Vittorio Feltri, che da Libero scrive una stroncatura de L’uomo bianco. L’incipit è una lode alle qualità di cronista di Mauro. Poi, in coda venenum. «Ed eccomi al libro. È dedicato ai migranti. L’assunto è che non sono pericolosi i neri, ma l’«uomo bianco», inteso come una specie di fantasma, che si sta incarnando in strati sempre più vasti dell’Occidente e in particolare dell’Italia. L’opera è architettata così. I capitoli dispari sono la ricostruzione minuto per minuto del blitz criminale di Luca Traini – scrive Felri – il quale il 3 febbraio di quest’anno, percorse Macerata con un’Alfa nera sparando a nove africani e ferendone sei, prima di arrendersi avvolto nel tricolore, con un cero con l’effigie di Mussolini, dicendo un’Ave Maria e un Padre Nostro per Pamela, la ragazza romana tossicodipendente squartata e infilata in due trolley «dai negri».

«Mauro fornisce kalashnikov ideologici»

«Mauro si è documentato con cura maniacale», scrive Feltri che non recrimina, perché il tono di Mauro non è acriminioso, solo che, putualizza, «gli rimprovero di non avere scritto una sola riga su Pamela, sul delitto cioè dell’ «uomo nero», per restare al paradigma dei colori.  Poi bastona: «Nei capitoli pari viceversa Mauro fornisce kalashnikov ideologici per sterminare il «sovranismo populista». I cui leader, egli sostiene, alimentano l’odio che poi attizza i tipi come Luca Traini. Non gli viene neppure il dubbio che dipingendo come animali fuori dal recinto umano sia i capi sia il popolo che li segue, innaffi di giustificazioni etiche qualche fuori di testa nero, nel senso del colore della pelle, e l’antifascismo più militare che militante dei bombaroli anarchici appena visti all’opera in Trentino. Lo fa senza alzare i toni, diciamo che sono pistolettate con il silenziatore gradito a Mattarella, con formulazioni opportunamente meste ed eleganti. Insomma: ha cominciato calpestando i marciapiedi ma si vede che ha frequentato i filosofi torinesi Bobbio, i Vattimo, i giuristi alla Zagrebelsky e alla fine anche monumenti della sociologia come Zygmunt Bauman, l’analista della società liquida».

«La sinistra ama il popolo, solo quando le obbedisce»

Mauro poi offende la gente che ha votato Trump e il popolo di Salvini, dicendo sostanzialmente che sono dei mentecatti. Feltri riassime così il Mauro-pensiero: «Donald e Salvini sono stati predatori di gente sola, approfittando del fatto che sono ormai senza cultura, poveri meschini ingannati quali gonzi dai furbacchioni populisti, che porteranno il mondo all’esplosione del conflitto razziale. Ho semplificato? Senz’altro. Si capisce che per lui la soluzione sarebbe che tutti gli uomini e le donne, persino i proletari, gli assomigliassero: intrisi di umanesimo di sinistra, dove i diritti individuali siano la nuova bandiera dei progressisti, perché è soltanto da lì che viene anche la sicurezza». Chiosa Feltri: «Insomma, siamo alle solite. La sinistra ama tantissimo il popolo, solamente quando le obbedisce, mentre detesta la popolazione che si accorge di essere stata ingannata dalla mitologia della globalizzazione e della accoglienza».

La chiosa è un sottile invito a Mauro a lasciar perdere la penna dello scrittore, per impungnare di nuovo quella da direttore…«Che ritorni in trincea è un fuoriclasse del giornalismo italiano».

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