È l’autonomia del Veneto la mina che può far saltare il governo. Ecco perché
Uno spettro s’aggira nei Palazzi del potere: quello del regionalismo rafforzato, cioè la cessione di ulteriori poteri a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Esattamente un anno fa, le prime due organizzarono persino un referendum consultivo per dimostrare a Gentiloni che la richiesta di maggiore autonomia era tutt’altro che un diversivo. Da allora è passato un anno e a Roma detta legge il “governo del cambiamento”. Ciò nonostante, il governatore Luca Zaia, che ha celebrato a Venezia l’anniversario della consultazione popolare, è stato costretto a fare il verso a Saddam Hussein per ricordare che «l’autonomia del Veneto è la madre di tutte le battaglie».
Un anno fa il referendum sull’autonomia
Parole forti: non si sa se finalizzate a sottolineare l’evento di un anno fa o se rivolte ad una “nuora” perché le intenda. E se così, chi è la “nuora”? Vediamo: il prossimo passaggio prevede l’intesa con il governo, e al governo c’è la Lega. In più, il tema è nero su bianco nel contratto giallo-verde con il relativo dossier ben saldo nelle mani amiche di Erika Stefani, ministro degli Affari Regionali, leghista convinta e veneta doc. Insomma, sulla carta è tutto a posto. Tranne le parole di Zaia, che tradiscono invece nervosismo e insicurezza. Evidentemente, sa più di quel che dice. Già, perché la maggiore autonomia delle regioni del Nord è finanziata dal residuo fiscale, il saldo tra quel che i residenti di un territorio versano in termini di tasse e di imposte e quel ricevono sotto forma di servizi. Parte di quelle risorse finanzia oggi il fondo di solidarietà per le regioni meridionali.
Ma il Salvini “nazionale” non può deludere il Sud
Se passa l’autonomia rafforzata, quel plafond diminuisce. Se qualcuno lo spiega ai Cinquestelle, è possibile una loro reazione fuori tempo massimo. Non sarebbe la prima volta. Di Maio è del Sud e al Sud, del resto, il M5S ha raccolto percentuali elettorali che neanche la Dc dei tempi d’oro… Ma il Sud affolla anche i pensieri della nuova Lega. Salvini sa che senza Mezzogiorno non c’è per lui prospettiva di leadership nazionale. Ai suoi occhi la «madre di tutte le battaglie» evocata da Zaia è solo sabbia in un ingranaggio di conquista del consenso finora perfetto. Finire davanti al bivio tra le attese dei suoi governatori e quelle dei suoi potenziali elettori meridionali rischia di rivelarsi una trappola mortale per le sua ambizioni. Ecco perché l’autonomia del Nord può attendere.
Desidero far presente ai non veneti, che in questa Regione ( ignoro la posizione delle altre 2 ) i 5 stelle erano fortemente FAVOREVOLI al REFERENDUM, e che tutti i partiti hanno lavorato assieme in Regione per un quesito approvato poi dalla Corte Costituzionale. Gli unici contrari erano la maggioranza del PD ( pochi i favorevoli ) e la MELONI ( Fratelli d’ Italia veneti si barcamenavano cercando di tenere il piede in due staffe ) .
Personalmente e a nome di amici, conoscenti e parenti, spero che Salvini faccia saltare questo governo e si torni alle urne con il Centro Destra unito al più presto. Il M5S è la rovina certa del nostro Paese.
Vorrei ricordare che l’iniziativa del referendum è stata di Maroni per la Lombardia, Zaia si era accodato, poi L’Emilia Romagna senza referendum.
Maroni aveva detto che avrebbe usato i residui fiscali in parte per lavori sul territorio, ma in parte per aiutare piccole-medie imprese lombarde a fare succursali al sud invece di delocalizzare all’estero.
Cioè i medesimi fondi di solidarietà che lo Stato passa alle regioni del sud per pagare i vari forestali et similia sarebbero stati usati in modo intelligente per creare posti di lavoro REALI al Sud.
E siccome le sedi societarie sarebbero rimaste in Lombardia, avrebbe incamerato le maggiori tasse.
Risultato: più posti di lavoro REALI al sud, ritorno progressivo in Lombardia dei capitali investiti, ovviamente da reimpiegare. E lo Stato famelico a guardare.
Probabilmente i ***** si opporranno perché riorganizzando i centri di collocamento per il reddito di cittadinanza vogliono creare posti di lavoro socialmente utili. Ovviamente senza ritorno di capitale, quindi a carico di ulteriori tasse per noi cittadini. Elementare, Watson diceva Sherlok Holmes
Sono d’accordo con Angela
Il residuo fiscale deve comprendere anche le spese previdenziali e in Veneto e Lombardia le pensioni percepite dai residenti sono quasi il doppio di quelle del sud.Come è strano il mondo italiano.L’unità d’italia prima e l’Europa unita poi per cercare di stare tutti insieme il più vicino possibile e qualcuno che pensa di stare ancora meglio a scapito degli altri.Al nord moglie e marito con due pensioni,al sud per il 90% moglie e marito ed una pensione.-Nel contratto di governo c’era il cambiamento:dare ancora più al nord togliendolo al sud?
Se l’Italia è nei fatti la Colonia di Trancia e Germania, il Veneto e la Lombardia sono l’Abissinia dell’Italia intera, con i loro surplus economici e fiscali campano almeno altre 12 Regioni, non potranno mai essere autonome, ne trattenere risorse, al massumo ci trasferiranno delle competenze burocratiche e inutili che ormai i Ministeri vogliono dismettere o abrogare……….
Sarebbe un vero peccato,se la Lega si smarcasse dal sud,molti ripongono in lui fiducia, soprattutto in tema di immigrazione…
l’autonomia del nord non può più aspettare, salvini lo sa benissimo, ha sempre sbandierato l’autonomia ai quattro venti ed io come contribuente non posso più accettare tasse così alte che servono a mentenere quegli indolenti e oziosi regioni del sud.
Basta con la storia che al sud siamo oziosi,noi semmai,al contrario dei lavoratori del nord siamo sfruttati,lavoriamo tutti e prendiamo la metà dello stipendio di quelli del nord,non abbiamo nessuna tutela e se ci lamentiamo nessuno ci aiuta!!!anzi molti vengono pure licenziati,per non parlare dei servizi che non abbiamo,della sanità che non è un granché…la verità è che lo stato ha sempre abbandonato il sud e tutti questi soldi che il Nord ci manderebbe…ma chi li ha mai visti?…se i meridionali fossero stati oziosi negli anni passati non sarebbero venuti in massa a lavorare nelle fabbriche del nord ,perché le industrie non sono state create anche al sud?ma chi si vorrebbe allontanare dalla propria terra(dal sole e dal mare e da un clima stupendo?)quindi smettetela di dire che quelli del sud sono oziosi perché non è assolutamente vero,anzi !!!
ancora con queste becere frazioni di autonomie ai tempi della merkel di junker di soros & C.
ma che sono…sponsorizzati dai signori delle banche questi zaia di turno???
Io toglierei anche gli Statuti Autonomi alle Regioni Speciali 8che combinano disastri straordinari)
basta guardare all’orticello proprio dando la possibilità a questi squali euro-pei
di sbranarci in un sol colpo.
Italia unita senza privilegi equa solidale e
forte, autonoma e coraggiosa nei confronti delle lobby e dei fondi sovranazionali!
Salve, Laura. Volevo rilevare una cosa: buffo che Lei nel Suo commento citi la Merkel e dunque implicitamente la Germania, uno dei paesi europei più federali e decentrati ed eppure stranamente non iniquo e certamente non preda degli “squali europei” (anzi) che Le fanno tanto paura.
Spero si renda conto dell’insussistenza del Suo commento, oltre alla palese anti-democraticità di una, Dio ce ne scampi, ri-centralizzazione delle competenze.
‘Equità’ è diverso da quello che Lei proclama: ‘equità’ vuol dire parità, non omogeneità. Vuol dire libertà e giustizia, non appiattimento.
La sua proposta, per quanto purtroppo diffusa, è palesemente erratica e tendente a provocare se mai malauguratamente attuata l’impoverimento del Paese senonché un suo inefficientamento progressivo.
È impensabile che una gestione totale dello Stato quale è stata de facto fino ad oggi determini un miglioramento delle aree più povere; se mai si potrà garantire un livello medio-basso a tutto il Territorio. Ma è mostruoso ritenere che un appiattimento verso il basso sia la soluzione più adatta alle esigenze attuali, soprattutto in tema europeo e globale, soprattutto in tema di elasticità e dinamicità dell’economia.
Anzi Le dirò di più: solo decentrando competenze e risorse (ovviamente sulla base del costo delle materie gestite, non assegnando i nove decimi del gettito ingiustificatamente, bensì assegnando alle regioni che ne facciano richiesta una compartecipazione dignitosa e più che sufficiente ad amministrare, purché non pregiudizievole nei confronti dei territori più deboli), dicevo, solo decentrando competenze e risorse nelle Regioni maggiormente in grado di gestirle ed invece occupandosi concretamente delle Regioni più bisognose si potrà (se mai si facesse) dare una svolta al Paese.
L’imprinting della riforma dovrebbe essere basato su un concetto: “lo Stato può offrire un servizio di un certo livello; chi è in grado di fare di meglio provveda da sé; chi non è o non si sente pronto lasci amministrare ai Ministeri”.
Dare a tutti uno stesso servizio quando c’è chi è in grado di fare di meglio è follia, se mai si dovrebbe garantire un livello minimo uguale per tutti, lasciando chi ne è in grado di gestirsi autonomamente. Altrimenti, costringere indifferentemente tutti a sedere, quando c’è chi potrebbe correre, perché alcuni faticano a camminare, è deleterio: sarebbe come fratturare una gamba ad un sano per renderlo uguale ad un infortunato, invece di lasciare camminare il sano e curare l’infortunato; sarebbe come curare con la stessa medicina malattie diverse.
Senza contare che non è affatto detto, né vero, che uno stato unitario possa affrontare meglio le ‘lobby’, anzi data la lontananza della classe politica dall’elettorato (cosa che guarda caso si sta rilevando in Italia) è decisamente più facile per i potentati economici intromettersi in politica, cosa comunque non impossibile ma certo più complessa in uno stato federale, a causa del maggior controllo esercitabile dalla cittadinanza sulle politiche locali. Ed infatti il federalismo impone ai cittadini il controllo sulla classe politica statale e locale, la quale dovrà rispondere delle proprie azioni direttamente all’elettorato.
Concludo infine con una nota più ‘romantica’: per quanto in tempo di crisi si abbia ovviamente paura e si ricerchi lo “Stato forte”, dirigista ed accentrato (che dovrebbe rievocare alla mente una certa esperienza passata…), va compreso anzitutto come ciò sia contrario non solo al principio – europeo – di sussidiarietà ma pure agli stessi valori democratici pluralisti che contraddistinguono (《dovrebbero contraddistinguere》) le società liberal-democratiche occidentali.
Ed inoltre bisogna comprendere una cosa da molti dimenticata, o peggio, ignorata, ossia che l’Italia è il Paese dei Liberi Comuni, dei mille Borghi e campanili, delle mille lingue, storie, tradizioni e culture, legate da un filo condiviso, da una lingua (l’italiano, ovviamente) che le accomuna e le unisce, non uniformandole, ma moltiplicandone la forza pur nella loro varietà ed unicità.
Volere uno stato centralista ed unitario in Italia vuol dire non comprenderne l’essenza, vuol dire essere anti-patriottici, vuol dire non aver compreso la storia ed unicità di quel paese variegato e multiforme che “l’Alpe cinge” e che è nel suo piccolo “un’Europa in miniatura”.
Pertanto ignorare ulteriormente una richiesta della cittadinanza di maggiore autonomia per il proprio ente regionale, richiesta ripropostasi in più salse nell’ultimo secolo, soprattutto nel Veneto, centro e bersaglio principale delle polemiche, vuol dire non solo disattendere ancora una volta le speranze e le volontà di questi cittadini, ma anche non aver compreso la storia ed unicità di questo Paese.